Presentato in concorso all’edizione 2016 del Festival di Cannes “Ma Loute” è l’ultima fatica del regista francese Bruno Dumont, autore anche della sceneggiatura.
La storia si svolge nel nord della Francia agli inizi del secolo scorso, ma assume connotati metafisici perdendo spesso le proprie coordinate spazio-temporali. Un goffo ispettore sovrappeso di nome Machin (Didier Desprès) e il suo aiutante Malfoy (Cyril Rigaux) iniziano a indagare su alcuni turisti spariti misteriosamente in una stupenda località di villeggiatura sul mare. Nella zona trascorre le vacanze la ricca e stravagante famiglia dei Van Peteghem che entra in contatto con il mondo degli abitanti locali grazie a Ma Loute Brufort (Brandon Lavieville), un ragazzo figlio di pescatori.
Il film dipinge in modo grottesco un microcosmo in cui i ricchi vivono in modo stravagante, mentre i poveri, disadattati, si arrangiano come possono (anche dal punto di vista culinario). Due mondi, due tipi di (dis)umanità agli antipodi. Un divario sancito anche dall’uso di attori non professionisti locali per quanto riguarda le parti di Ma Loute e suo padre (che mantengono lo stesso legame di parentela anche nella vita vera) per renderli più reali, anche sul piano linguistico, come facevano i maestri del Neorealismo e della Nouvelle Vague oltre che Pier Paolo Pasolini.
Azzeccatissimi anche gli interpreti adulti della famiglia Van Peteghem – Fabrice Luchini, Valeria Bruni Tedeschi e Juliette Binoche – chiamati a recitare in maniera molto enfatica per una resa ancora più grottesca dei rispettivi altezzosi personaggi.
Visivamente molto interessante grazie a una fotografia quasi pittorica evocativa di numerosi dipinti francesi, l’opera di Dumont vive di dicotomie: ricchezza e povertà, Grazia e castigo, comicità e drammaticità, bellezza e mostruosità., trascendenza (numerose sono le scene dedicate al volo) e immanenza, sublime e abietto.
Il ponte tra i due mondi inconciliabili, quello dei ricchi corrosi nel corpo e nell’anima e quello dei “brutali miserabili”, viene gettato dall’amore che nasce da Ma Loute e Billie, rampollo della famiglia dei Van Peteghem dalla dubbia sessualità (è una ragazza che si veste da ragazzo o viceversa?) frutto “mostruoso” di un incesto. La loro unione però resta impossibile, anche dopo essersi “miracolosamente” salvati da un mare in tempesta.
Nel vivace e caotico affresco di Dumant viene ridicolizzata un’umanità che non sa capire né il diverso né ciò che lo circonda, incapace di comunicare al di là delle frasi di circostanza e di vedere al di là dei propri stereotipi.
Se la prima parte del film scorre via piacevolmente, la seconda risente di un’eccessiva ripetitività di gag e meccanismi, evitabile forse accorciando la durata della pellicola.
Concludendo, “Ma Loute” si contraddistingue per essere un’opera non convenzionale, folle, ricca di comicità e di sequenze originali, ma purtroppo presenta anche numerosi difetti: un ritmo eccessivamente lento, ripetitività, un finale non brillante e una storia che spesso “vola” improvvisamente così in alto da essere inafferrabile perfino per il suo autore, proprio come accade al simpatico ispettore Machin.