La domanda è: quanti e chi, tra gli esponenti della classe politica italiana, si sono assunti la responsabilità dei disastri che hanno causato con le loro scelte politiche e amministrative?
Sicuramente ce ne sono stati, da qualche parte, anche se al momento a chi scrive non viene in mente nessuno, in nessuna occasione. E’ prassi, in politica, scaricare le colpe delle proprie scelte sbagliate su qualcun altro. Accettare di essersi sbagliati equivale ad ammettere il proprio fallimento politico, e quindi, mai un “mea culpa“. Gli esempi più eclatanti subito dopo una tornata di voto, con i vari leaders a dichiararsi vincitori e, quando questo proprio manifestamente non si può, ad addossare ad altri la responsabilità della sconfitta.
Ma non è solo in queste occasioni che il fenomeno si manifesta, e comunque non è la forma più grave di fuga dalle responsabilità. C’è un lato, peraltro non troppo nascosto, che contraddistingue in questo senso la classe politica italiana e che si perpetua grazie anche a quello che sembra un accordo non scritto ma da quasi tutti osservato: l’irresponsabilità nella gestione dell’amministrazione a tutti i livelli, da quello nazionale a quello locale, passando per quelle intermedie regionali e provinciali, senza contare le gestioni degli enti pubblici e delle aziende di Stato o a partecipazione statale.
A parte che per situazioni di illecito, per i quali è previsto l’intervento degli organi della giustizia ordinaria, nessuna misura è adottata eni confronti di quei politici che, con la loro gestione inappropriata o anche del tutto inadeguata, hanno causato disastri economici sui territori da loro amministrati. Scelte sbagliate, o anche assenza di scelte idonee a fronteggiare situazioni problematiche, hanno portato territori più o meno estesi a situazioni di crisi sfociati in perdita di competitività delle aziende, chiusura di attività commerciali, industriali, agricole e di terziario, perdita massiva di posti di lavoro.
E’ l’urna che fa giustizia, si dice. Il principio democratico prevede che sia il cittadino a premiare o punire l’amministratore per le sue scelte politiche. Dal punto di vista del principio democratico il discorso non fa una grinza, ma può la mancata rielezione compensare spese per milioni di euro in grandi opere mai completate, in inutili cattedrali nel deserto di cui nessuno fruisce e che rimangono a deteriorarsi fino a diventare un peso per liberarsi del quale altri soldi pubblici devono essere buttati via? Non sarebbe forse giusto chiedere conto dell’operato a chi ha amministrato senza criterio causando un danno patrimoniale alla comunità?
Chissà cosa succederebbe se, oltre alla controprova delle urne, all’ex amministratore venisse richiesto di risarcire, in tutto o in parte, il danno causato. Certamente l’attività amministrativa rimarrebbe un po’ più ingessata, ma di contro si avrebbero scelte politiche sicuramente più oculate e proiettate all’utilità futura. Futuro che, invece, viene oggi utilizzato quale strumento atto a conferire nel dimenticatoio quanto è opportuno che le generazioni a venire non abbiano a ricordare. In altri termini: impunità per quelle scelte operate secondo il criterio della convenienza personale, di partito, di gruppo di potere o di lobbies, e non del bene comune.
Purtroppo, l’idea di far pagare il conto a chi contrae debiti con i nostri soldi rimarrà solo un sogno. Il principio democratico dice altro. Ma ne siamo proprio sicuri? Certo è che nessuno è disposto a mettere in discussione questo stato di cose perché all’intera classe politica conviene continuare a godere di tale immunità. Ma quando qualcuno alza il tiro e grida “il Re è nudo“, allora apriti cielo. Costoro sono tacciati di populismo, additati quale il male peggiore per l’umanità e demonizzati per togliere loro credibilità.
D’altronde in un Paese dove persino agli amministratori delegati delle aziende pubbliche o a partecipazione pubblica continuano a fare disastri senza essere chiamati a risponderne e anzi, con un bel valzer di poltrone, sono sempre ai vertici a gestire le stesse aziende, cosa ci possiamo aspettare?
Beh, i recenti risultati elettorali, per ammissione dello stesso premier Renzi, sono il frutto dell’esigenza di cambiamento espresso dai cittadini. Lo sfaldamento dei partiti tradizionali della Prima Repubblica, per un ventennio sostituiti da partiti di plastica inseriti nel quadro di un sistema politico artificialmente costruito su due poli, qualcosa ha prodotto. Quel qualcosa, per lungo tempo marchiato come disaffezione del cittadino alla politica, viene adesso riconosciuto come esigenza di cambiamento.
Forse qualcosa si muove.