Siamo di fronte ad un trauma collettivo con tutte le caratteristiche tipiche del trauma: siamo di fronte ad un evento inatteso, impensabile e non abbiamo difese adatte per poterlo fronteggiare. Sono venute a mancare anche le ritualità collettive.
Penso che gli effetti del covid-19 non saranno solo di natura sanitaria ed economica ma anche e sopratutto psicologica e per questo motivo, in questo periodo di quarantena, mi sono ritrovato a riflettere su quelli che potrebbero essere gli effetti psicologici a breve termine del coronavirus nella nostra società.
In una fase iniziale, quando abbiamo cominciato a convivere con questo virus, tutti abbiamo provato un senso di “disorientamento”, ci siamo chiesti cosa stava succedendo e nel mio ruolo di genitore mi sono anche chiesto come avrei potuto spiegare a mia figlia quello che stava accadendo.
Massimo Ammaniti, nel webinar opl del 20 aprile 2020, dice che lui proverebbe a spiegare ai bambini la presenza di questo virus paragonandolo ad un’influenza che colpisce tutti in maniera indiscriminata, per cui come fanno loro quando restano a casa per non contagiare gli altri amici, questa volta insieme alla mamma e al papà resteranno a casa per evitare si diffonda il contagio tra bambini, genitori e soprattutto per evitare si contagino i nonni che sono anche i più fragili e questo, a suo parere, sarebbe il modo più rassicurante per “narrare” il periodo che stiamo vivendo ai bambini. Ammaniti chiarisce, inoltre, che eviterebbe di nominare il virus perché termine troppo astratto e anche provare a dargli una forma sarebbe troppo minaccioso per il bambino.
Spesso, soprattutto, all’inizio di questa pandemia c’era disinformazione, anche fonti autorevoli davano notizie discordanti, forse, anche per la novità del fenomeno sconosciuto anche a loro: per esempio qualche virologo spiegava che si trattava di un’ influenza un po’ più virulenta e anche se non in maniera esplicita l’Unione Europea all’inizio accusava gli italiani di essere i “soliti piagnucoloni”, questo ha fatto si che nel nostro paese spesso si creassero assembramenti sottovalutando la pericolosità del fenomeno.
Per evitare la diffusione di fake news è importante cercare di selezionare un’ unica fonte autorevole ed esperta su questo tipo di problematica ed ascoltarla una sola volta al giorno, perché essere incollati troppe volte e per troppe ore ai telegiornali per ascoltare il numero dei contagiati potrebbe creare ansia e queste ansie potrebbe essere trasmesse anche ai nostri figli.
Fino a prima del lockdown c’erano ritualità familiari e ritualità sociali, che secondo Erik Erikson sono modalità che aiutano a costruire la nostra identità, molte di queste abitudini ora non ci sono più: i bambini non vanno più a scuola, non escono, non possono andare in bicicletta e questo crea ansia, l’ambiente che prima era “mediamente prevedibile” ora non lo è più.
Le famiglie stanno provando a costruire nuove routine per non perdere il senso della propria identità psicosociale, ad esempio il padre ora si occupa dei bambini per alcune ore della giornata, poi è il turno della madre e poi la sera si gioca insieme, ci sono le lezioni scolastiche on line, si lavora da remoto e per evitare di creare “abitudini negative” potrebbe essere utile stabilire alcuni momenti in cui si fanno cose particolari come ad esempio: il rituale del caffè o del tè oppure dedicarsi a fare mezz’ora di esercizio fisico (che rafforza anche il sistema immunitario), giocare o leggere un libro. In famiglia, potrebbe essere un’idea quella di imparare nuovi giochi da tavolo o riprendere quelli a cui non si gioca da un pò.
Penso sia importante fare una valutazione sulla situazione “precaria” degli adolescenti che mal sopportano le costrizioni. Alcuni di loro sembra abbiano compreso perfettamente la gravità del problema, ma il lockdown ha colluso con quello che dovrebbe essere il loro processo fisiologico naturale fatto di: confronto coi coetanei, sperimentazione del proprio corpo, nascita di nuove relazioni sentimentali. L’ adolescenza è un momento d’ amore, l’ amore dei corpi che si intrecciano, si baciano e questa privazione è davvero una violenza fatta nei loro confronti (Massimo Recalcati webinar del 15 aprile 2020). I social network diventano, per loro, in questo momento, dei surrogati di corpo che potrebbero creare una dipendenza da internet, anche patologica.
Gli hikikomori, adolescenti che hanno scelto di isolarsi, invece, sembra si siano riattivati e siano diventati solidali e disponibili, infatti mentre prima del virus si erano ritirati dalla relazione per mille ragioni: la competitività oppure la sensazione di inadeguatezza, adesso la relazione è diventata per loro un “oggetto perduto” non è più un obbligo (i genitori spesso li obbligavano a “costruirsi” delle relazioni) e a questo punto anche per loro diventa fondamentale riscoprire e cercare di ritrovare questo oggetto (Massimo Recalcati webinar 15/04/2020).
In questo periodo, forse, per la prima volta assistiamo a due scenari nella “stanza virtuale della terapia”: Il primo, nel quale, il paziente e il terapeuta vivono la stessa esperienza di reclusione forzata e alle volte provano, alla stessa maniera, impotenza e fragilità, fenomeni tipici del disturbo post traumatico da stress; nel secondo scenario i due attori coinvolti, sperimentano, anche grazie a questa “reciprocità”, una forte alleanza e una ” sufficientemente buona” vicinanza emotiva, nonostante la distanza fisica.
L’ home visiting, ovvero la visita del terapeuta presso il domicilio del cliente, viene sostituita dal trattamento on line con skype, zoom o altri strumenti, attraverso i quali il terapeuta entra direttamente in casa del paziente creando una maggiore intimità, grazie alla possibilità di vedere scorci del suo appartamento e voci e rumori di persone che vivono con lui.
Massimo Ammaniti, durante il webinar opl del 20/04/2020, dice che durante le terapie on line con i bambini compito principale dello psicologo è quello di dare delle indicazioni pratiche ai genitori su come ricostituire la quotidianità e ritualità perdute provando a sostituirle con altre, permettendo una nuova costruzione di quell’ identità psicosociale, che in mancanza di questi riti andrebbe perduta e/o frammentata.
Vengono a mancare anche le ritualità collettive, persino la Pasqua di quest’ anno è stata festeggiata in maniera insolita, a casa da soli e non in compagnia dei propri familiari, ma anche la celebrazione dei funerali e dei lutti è anomala, viene a mancare il rito del passaggio dalla vita alla morte (sono proibiti i funerali, non viene fatta la vestizione del cadavere, solitamente il paziente va via in ambulanza e non c’è possibilità di rivederlo nemmeno alla sua morte), e persino l’ elaborazione del lutto non è più quella che conosciamo e assomiglia di più ad un disturbo post traumatico da stress e spesso i vissuti dei sopravissuti sono quelli della fragilità e dell’ impotenza, stessi sintomi del PTSD.
Scrivo spesso la parola disturbo post traumatico da stress, perchè siamo di fronte ad un trauma collettivo con tutte le caratteristiche tipiche del trauma: siamo di fronte ad un evento inatteso, impensabile e non abbiamo difese adatte per poterlo fronteggiare (si pensi alle difficoltà degli ospedali e del personale medico e infermieristico). Inizialmente abbiamo reagito con un’ angoscia persecutoria, anche per i decreti giustamente imposti dal Governo; “l’altro”, l’ amico poteva diventare involucro portatore del nemico e “la salvezza” era solo all’ interno dei confini di casa.
L’ angoscia persecutoria è stata poi sostituita da un atteggiamento depressivo, ovvero c’è stata la consapevolezza che il mondo come era prima non avremmo potuto più riaverlo e questo ci ha reso profondamente tristi e infine quando entreremo pienamente nella FASE II, probabilmente assisteremo all’ angoscia del cambiamento, poichè dovremo convivere col virus, quindi oscilleremo tra un pensiero di vita e un pensiero di morte, tra la gioia di vivere e tornare a fare quello che facevamo prima e la paura di morire perchè avremo la possibilità di venire a contatto col virus. Gli uomini affrontano spesso il cambiamento con una certa curiosità e desiderio ma hanno sempre paura che lo stesso non gli permetta di mantenere “quello che erano prima”.
Il futuro delle relazioni, almeno il futuro più prossimo, potrebbe essere la paranoia e la fobia sociale causati dal distanziamento sociale imposto e anche l’ amore, proprio a causa del distanziamento, soprattutto tra gli adolescenti, potrebbe tornare ad essere un amore di tipo stilnovista dove spesso si cantava della donna che non si poteva toccare e questo potrebbe avere anche un aspetto positivo, sostituendosi questo nuovo atteggiamento a quello vissuto prima del virus, quando spesso rapporti sessuali erano vissuti anche senza affetti e senza desiderio (Massimo Recalcati webinar del 15/04/2020).
Anche le perdite finanziarie, alimentando forti preoccupazioni a livello socio-economico, potrebbero rappresentare un fattore di rischio rispetto alla sofferenza psicologica (probabilmente sintomi depressivi) e potrebbero persistere anche per diversi mesi dopo la quarantena.
Le mie riflessioni su tutte queste variabili complesse che caratterizzano questo periodo, anche se esplicitate non in maniera esaustiva, mi hanno portato a pensare che, forse, questo periodo oltre che sicuramente di enorme crisi su vari fronti, potrebbe essere un momento in cui ritrovarci a pensare sulla nostra capacità di resilienza, su quali nostre risorse potremmo attivare per fronteggiare, per esempio, tutte queste numerose ritualità modificate e quali alternative potremmo trovare per continuare nella costruzione della nostra identità.
In ecologia, il significato di resilienza è la velocità con cui una comunità biotica è in grado di ripristinare la sua stabilità se sottoposta a perturbazioni, penso che nella nostra società, anzi spero vivamente, che la nostra resilienza ci permetta sia di ripristinare una certa stabilità sia ci dia la possibilità di essere maggiormente empatici, grazie ad una maggiore capillarità e presenza di psicologi.
Concludo con un sogno, fatto da mia figlia, che penso possa essere una fotografia di quello che stiamo vivendo: qualche giorno fa mi ha raccontato che io, lei e la mamma eravamo finiti con la macchina nel fango e io le ho risposto che, in effetti, era un’ esperienza simile a quella che stavamo vivendo, “come se fossimo finiti nel fango”, ma le ho anche detto, e ne sono convinto, che da quel fango ne saremmo usciti e sia noi che la nostra macchina saremmo stati più forti di prima.
Dott. Gaetano Marino – Psicologo/Psicoterapeuta – Analista Transazionale – Volontario Urgenza Psicologica Milano