Continuare a parlare di violenza in tutte le sue forme, perché persone consapevoli sono persone libere di scegliere.
Mi fa paura. Sento le vertebre vibrare al suo passaggio, ma finisco per pensare sia solo una folata di aria fredda. Mi invade un odore nauseabondo, mi pervade le narici, ma concludo debba trattarsi solo della blobba cucinata nell’appartamento di fianco. Mi avvolge, quella maledetta, ne sento il peso sulla schiena, eppure svicolo dicendomi che sono solo stanca, è solo un’altra giornata di lavoro insulsa.
“Muoio senza di te”: parole sussurrate che nascondono le spine aguzze sotto un manto aggressivamente amoroso. Con artigli invisibili avanzano, aggrappandosi all’anima, che vacilla sotto il peso di tanta responsabilità, bucano lo stomaco, afferrano il cuore, strappano, confondono, abbagliano, prostrano. Gli credo. “Mi ama”, voglio crederci ancora una volta. Lui ha bisogno di me.
Poco dopo è la storia di sempre. Sottili manipolazioni, giochi di potere, divieti, controlli subdoli, presenza eccessiva, isolamento forzato, repentini cambi di umore…
Sono tanto stanca. Ma lui ha bisogno di me. Lui muore senza di me. E poi dove potrei andare?
“Troia!”. Parole taglienti come lame affilate si aggrappano alle mie orecchie e lì mi sembra di poterla riconoscere, di poterla nominare, di essere in grado di chiamarla con il suo nome… se non fosse per quel “muoio senza di te”, soffio velenoso nel mio orecchio innocente che torna a fare capolino, menzogna sincera alla quale credo ancora, ancora una volta. E’ caos emotivo. Dolore persistente. Nel buio dell’abisso, l’anima si sgretola, tentando di resistere. Resto. Ho bisogno di credere in un “noi” possibile.
Serve parlarne, di violenza psicologica è sempre necessario continuare a parlarne, perché lei non abbia la meglio, perché non si confonda un “noi” violento con la normalità.
A volte non è facile riconoscere nemmeno quella fisica, di violenza, quella sessuale per esempio, quel sopruso da parte del partner che viene fatto passare per dovere coniugale, quell’atto brutale che non ha niente a che fare con il desiderio sessuale ma è espressione di potere, supremazia e dominio dell’uomo sulla donna.
Quella psicologica, che la precede sempre, può risultare perfino più insidiosa da riconoscere, giostra dannata che arriva a spegnere l’amore per se stessi.
Diamole un volto:
1- Marcata gelosia: all’inizio del rapporto può essere confusa con un segno d’attenzione, gesto d’amore che ci fa sentire significative, desiderate, in una parola amate. Sotto vi è un più subdolo bisogno di possesso.
2- Controllo eccessivo: rara forma di protezione, di preoccupazione per la nostra sicurezza, è questa l’interpretazione confusiva che finiamo per sposare di fronte alla presenza costante del partner, alle sue incessanti richieste circa i nostri spostamenti, i nostri impegni, le nostre frequentazioni. Trattasi di un marcato bisogno di controllo, piuttosto, ma noi siamo troppo gratificate dal suo perenne sguardo su di noi per accorgercene.
4- Libertà limitata: lui c’è, è presente, presenzia, una presenza eccessiva che ci segue come un’ombra. E’ così che lui mina la nostra libertà di essere, di esistere, ma noi forse non sappiamo che farcene di quella nostra libertà.
4- Isolamento: all’insegna di un tempo esclusivo trascorso insieme, perdiamo di vista gli affetti più cari, i parenti, gli amici. Ogni tentativo di frequentazione altra viene accolto dal partner con minaccioso disappunto che non riusciamo a contrastare: è troppo forte il timore di perderlo. D’altro canto “noi ci amiamo”, lui ricorda sempre.
5- Critica continua: la colpa è tua, la mancanza è tua, l’incapacità è tua, l’inefficienza è tua. Mai abbastanza, non si è mai abbastanza ai suoi occhi. Si finisce per credervi. L’umiliazione subita diviene la giusta punizione per la propria presunta pochezza.
6- Dipendenza economica: “Perché vuoi continuare a lavorare? Ci sono io”. Il passo dalla privazione dell’indipendenza economica è breve.
7- Instabilità emotiva: “E’ nervoso, d’altro canto ha fatto 2 guerre”, dice la meravigliosa Cortellesi nel film “C’è ancora domani”, quando Ivano passa repentinamente dalla gentilezza all’irascibilità. Quel fulmineo cambio d’umore getta nel dubbio di avere sbagliato qualcosa. Anzi di essere proprio sbagliate.
Il maltrattamento non lascia scampo quando poggia su un terreno fragile: bassa autostima, abusi o maltrattamenti nell’infanzia, dipendenza affettiva, solitudine interiore, educazione patriarcale. Se l’anima è ferita più facilmente la violenza attecchisce.
Il conflitto, evento fisiologico tra esseri umani, presenta l’opportunità di rimodellare la relazione, ma il maltrattamento è ben altro dal conflitto, non lasciarti ingannare! E’ maltrattamento quando lo scontro finisce per centrarsi sulla persona e non sul problema da risolvere, quando la comunicazione perde il suo orientamento alla soluzione del problema per sfociare in una conferma del ruolo di potere, quando lo scontro scivola nella sottomissione del più debole, nella boriosa conferma del più forte, quando la negoziazione non vede mai la luce, quando un compromesso non viene mai raggiunto, quando le minacce si mescolano agli insulti, quando le porte finiscono sfondate con un pugno, quando i piatti volano nell’aria come dischi volanti…
La spirale della violenza psicologica vede l’umiliazione, il ricatto emotivo, la svalutazione, la colpevolizzazione, il disprezzo, il silenzio punitivo, l’invisibilità, il controllo, mentre un linguaggio sessista fa da cornice.
Accettare che stia accadendo proprio a se stessi è il nodo. A volte un nodo tanto doloroso da sbrogliare che ci si volta dall’altra parte. “E’ solo nervoso, d’altro canto ha fatto due guerre”.
Tendere a salvare la relazione a qualsiasi costo è il tranello.
Continuare a subire è preludio della fine: fine della propria anima.
Mettersi in sicurezza: proteggersi.
La guarigione inizia con una richiesta d’aiuto. Rivolgersi ai centri antiviolenza, dove la solidarietà femminile sutura le ferite, dove professioniste preparate accolgono senza giudizio, sostengono, orientano, fino a sgombrare il campo dai sensi di colpa, perché no, non sei tu quella colpevole, non sei tu quella sbagliata.
Il progetto di autodeterminazione comincia con l’ammettere a se stesse di avere bisogno di aiuto. Mai più sole.
P.S. Agli uomini maltrattanti: esiste un’opportunità di cura anche voi.