Mostra a cura di Marta Concina, Daniele De Luca, Alberto Fiz
E’ una grande retrospettiva riservata a Giacomo Manzù l’evento espositivo della primavera del 2023 (dal 10 marzo al 21 maggio) proposta a Vercelli.
Lo aveva annunciato il Sindaco Avv. Andrea Corsaro, in un incontro pubblico accolto – non a caso – dall’Arca, ovvero da quella che è, insieme all’ex Chiesa di San Vittore, la sede della mostra realizzata dalla Città di Vercelli, Arcidiocesi di Vercelli, Studio Copernico in collaborazione con la Fondazione Manzù.
A curare l’esposizione sono Marta Concina, Daniele De Luca, Alberto Fiz. Proprio quest’ultimo ha voluto richiamare nel titolo della rassegna una celebre citazione di Cesare Brandi “La scultura è un raggio di luna”.
Brandi che meglio di ogni altro si è fatto interprete del linguaggio di Manzù, scriveva nel 1983 “la scultura gira con tanti punti di vista autonomi e tutti confluenti in una forma che è aperta e chiusa, e nella sua statica è dinamica per come scorre in se stessa con una fluenza eraclitea in cui non ci si può bagnare due volte”. Il riferimento è alla serie di opere dedicate alla giovane modella Tebe, ma si può estendere all’intero corpus di Manzù che ha saputo coniugare la dimensione classica con quella naturalistica e fenomenologica trovando sin dagli anni Trenta una propria autonomia forza espressiva.
La mostra proposta a Vercelli riunisce oltre trenta sculture, alcune monumentali, messe a disposizione dalla Fondazione Manzù, dallo Studio Copernico e da importanti collezionisti privati.
Il percorso spazia dagli anni Quaranta sino al 1990, un anno prima della sua scomparsa dove compare una testimonianza emblematica come la grande scultura di Ulisse, l’eterno simbolo della conoscenza.
La rassegna, allestita nelle due sedi, evidenzia l’attualità di un grande Maestro dell’arte plastica seguendo le differenti tematiche che ne caratterizzano la poetica. Così, la scelta delle opere consente di apprezzare i ritratti femminili, le nature morte (basti pensare a Sedia con aragosta del 1966) oltre ai celebri Cardinali, la sua serie più famosa iniziata negli anni Trenta. “La prima volta che vidi i Cardinali”, ha affermato Manzù, “fu in San Pietro nel 1934; mi impressionarono per le loro masse rigide, eppur vibranti di spiritualità complessa. Li vedevo come tante statue, una serie di cubi allineati e l’impulso a creare nelle sculture una mia versione di quella realtà ineffabile fu irresistibile”.
In mostra, accanto ad alcuni storici Cardinali in bronzo degli anni Quaranta, compare Grande Cardinale seduto, un’opera monumentale alta oltre due metri modellata nel 1983 da cui emerge la componente ieratica della figura all’interno di forme rigide e sintetiche assimilabili a piramidi.
Quest’opera, grazie alla disponibilità dello Studio Copernico, – precisa il Sindaco Avv. Andrea Corsaro – verrà offerta ai cittadini vercellesi e a tutti coloro che in questo periodo di feste visiteranno la nostra città, rimanendo fruibile nell’ex Chiesa di S. Vittore da oggi e fino al 21 maggio 2023.
La moglie Inge, conosciuta nel 1954 quando Manzù insegnava all’Accademia di Salisburgo e da allora sua musa, rappresenta una costante della sua ritrattistica e a Vercelli verrà esposto Busto di Inge, rara opera in marmo realizzata nel 1979 da cui emerge uno straordinario vitalismo rispetto a una composizione che assume una forma circolare dove le braccia si dispongono intorno al volto della donna. Dall’unione con Inge nascono i due figli Giulia e Mileto che diventano l’occasione per realizzare una serie di sculture sul tema del gioco e in mostra compare Giulia e Mileto in carrozza con il bozzetto in bronzo del 1967. Sono lavori che rientrano nel ciclo Spielerei dove Manzù propone liberamente una serie d’invenzioni plastiche che in questo caso gli danno modo di realizzare una carrozza arcaica dominata da una grande ruota.La sperimentazione passa anche attraverso Donna che guarda, un’altra opera monumentale datata 1983 di 252 centimetri d’altezza scolpita in ebano un materiale che come afferma Manzù “è bello, durissimo, ha come il sangue nelle sue vene, si lavora come il ghiaccio ma è eterno”, opera presente in ARCA già al momento della presentazione della mostra.
In un viaggio così sfaccettato vanno citati anche Fauno modellato nel 1968 dove l’atteggiamento dell’uomo con le membra ripiegate esprime la potenza e l’energia del corpo, così come Il miracolo di San Biagio, un altorilievo fortemente intimista in cui fa la sua comparsa un Cardinale compassionevole.
“Dalla mostra di Vercelli dunque emergono – chiosa Alberto Fiz – le diverse anime di uno scultore che, senza retorica, si è fatto interprete dell’umanità sapendo cogliere la sacralità profonda anche nel quotidiano: “Manzù”, scrive Brandi, “è nel suo tempo, fuori dal suo tempo, saldamento ancorato a quei valori eterni che non ha mai dimenticato”.
*nella foto in evidenza: Busto di Inge, 1979 – particolare.
Ufficio Stampa: STUDIO ESSECI – Sergio Campagnolo