Due capolavori assoluti della storia dell’arte universale – entrambi oggetto di recente restauro – e una Città che offre a essi il più raffinato dei contesti. Un itinerario di bellezza.
Bellini, Veronese e Vicenza è un itinerario di emozioni a Vicenza, città gioiello del Rinascimento. La proposta che Comune di Vicenza – Assessorato alla cultura, al turismo e all’attrattività e il Consorzio Turistico Vicenza è hanno messo in campo offre una esperienza che immerge, chi la vive, nell’emozione di entrare “dentro” due straordinari dipinti e godere una città che sa interpretare il Rinascimento in modo originale e altissimo. Il “Battesimo di Cristo” di Giovanni Bellini in Santa Corona e la “La Cena di San Gregorio Magno” di Paolo Veronese, nel Santuario di Monte Berico sono le gemme da scoprire. E tra esse, e intorno a esse, una città che nelle architetture di Palladio e Scamozzi declina in modo sublime il Rinascimento.
Di emozioni i due capolavori di questo speciale itinerario ne offrono davvero molte. Per la loro assoluta qualità artistica, innanzitutto, ma anche perché ciascuno di essi stimola curiosità, interrogativi, dubbi. Oltre alla pura ammirazione estetica.
Opere incredibilmente belle, uniche, dense di significati, in parte evidenti, altri del tutto nascosti. Il Rinascimento, si sa, è stato un tempo di misteri, di messaggi chiari solo a chi aveva chiavi e conoscenze per poterli decrittare. E questo itinerario offre la meraviglia di scoprire anche cosa c’è al di là di quanto appare.
Il “Battesimo di Cristo”, grandiosa pala lignea che Vittorio Sgarbi ha definito “una delle opere d’arte più belle al mondo”, venne dipinta da Giovanni Bellini nei primissimi anni del ‘500 su incarico di un ricco mercante di tessuti che così adempieva al voto fatto prima di intraprendere un pericoloso viaggio in Terrasanta. Una sorta di sontuoso ex-voto ancora oggi ammirato, dopo oltre 500 anni, dai più fini studiosi d’arte e dai colti viaggiatori che giunti a Vicenza non possono non entrare in questo meraviglioso Tempio.
Il fulcro dell’opera è nella figura di Gesù, qui in atteggiamento sottomesso al padre. Giovanni, il Battista, fa scendere l’acqua del Giordano da una posizione che rappresenta il punto centrale tra la colomba dello Spirito Santo e il capo del Figlio. Assistono la Fede, la Speranza, la Carità in veste di bellissimi angeli, forse ritratti delle figlie del committente. I colori delle loro vesti si specchiano sull’acqua del Giordano e si riverberano sul candido perizoma del biondissimo Gesù.
Le acque, le rocce, il bruno paesaggio montuoso, popolato di cittadelle fortificate, continua nell’azzurro della cerchia di monti, sovrastata da una bruma dorata, mentre l’azzurro del cielo è dominato dal Padre e dalla colomba, centrati sul capo del Cristo. Il paesaggio, con la grotta anticipatrice del sepolcro di colui che è battezzato, unisce ricordi di Palestina alla vicinanza dei colli veneti.
Ad assistere all’evento c’è un pappagallo rosso. A dipingerlo non fu Bellini ma quell’uccello, all’epoca varietà ancora sconosciuta, venne aggiunto più tardi. Per scherzo o per trasmetterci un preciso messaggio? È uno dei tanti misteri di questa meraviglia della pittura.
La pala si inserisce mirabilmente in un altare di grande eleganza, degno del capolavoro che racchiude.
Il tutto nel contesto di una delle chiese più belle e antiche di Vicenza, la domenicana Santa Corona. Il nome deriva dalla reliquia della Sacra Spina donata da Luigi IX Re di Francia al Vescovo di Vicenza nel 1261.
L’interno gotico, con presbiterio realizzato da Lorenzo da Bologna nella seconda metà del XV secolo, ospita, oltre al “Battesimo” di Giovanni Bellini, “l’Adorazione dei Magi” di Paolo Veronese, la “Madonna delle stelle” di Lorenzo Veneziano e Marcello Fogolino, la grande pala della “Maddalena e Santi” di Bartolomeo Montagna, la “Madonna con Bambino e Santi” di Giambattista Pittoni. Nell’abside della chiesa, il notevole coro ligneo, intagliato e intarsiato, opera di Pier Antonio dell’Abate. Poi gli affreschi quattrocenteschi di Michelino da Besozzo della Cappella Thiene. Da non mancare una vista alla cappella della famiglia Valmarana, opera di Palladio che la tradizione vuole sia stato sepolto proprio in questa chiesa, prima che i suoi resti fossero trasportati nella monumentale tomba nel cimitero cittadino. Da notare prima di uscire anche lo scenografico Altare Maggiore e all’imponente Cappella del Rosario.
Sorge sulla collina di “Monte Berico”, alta poco più di 140 metri, la grandiosa Basilica che ricorda il luogo dell’apparizione della Vergine a Vincenza Pasini, una donna che portava cibo al marito che lavorava sul colle. La Madonna prometteva la fine della peste e chiedeva che in quel luogo le fosse dedicata una chiesa. Già nel 1428, in pochi mesi, sorse la prima chiesetta tardogotica e un piccolo cenobio per ospitare una comunità religiosa dedita all’accoglienza dei pellegrini. Da allora il Santuario, unito alla città da una scalinata coperta, si è andato ingrandendo e rinnovando, per opera di diverse generazioni di architetti, tra i quali lo stesso Palladio. In quello che è stato il grande refettorio dei monaci, nel 1572 Paolo Veronese lasciò un’opera grandiosa per dimensioni e per livello artistico: la “Cena di San Gregorio Magno”, l’unica delle tre Cene del grande maestro a essere visibile nel luogo per la quale era stata concepita. Le altre due sono oggi musealizzate al Louvre e a Brera, a seguito delle spoliazioni napoleoniche.
Il dipinto, di dimensioni monumentali (cm 4,45 x 8,78 per un totale di circa 39 mq), è considerato uno dei capolavori della maturità del Veronese. Una elegante quinta accoglie i 12 pellegrini ospiti d’onore della cena di San Gregorio. Un atto di carità che coinvolge anche Gesù che appare al fianco del Pontefice. La tradizione vuole che il pittore si sia ritratto nella figura vestita di giallo, rappresentata di spalle, mentre il committente dell’opera, frate Domenico Grana, zio dell’artista, comparirebbe in abito talare alla sinistra della scena principale.
L’opera non ha avuto vita facile. Nel 1811 venne trafugata dai soldati napoleonici per essere inviata alla Pinacoteca di Brera, dove restò per 6 anni prima di essere restituita a Vicenza. Il 10 giugno 1848, durante la prima guerra d’Indipendenza, le truppe austro- ungariche usarono le loro baionette per tagliare la tela in 32 pezzi. Fu lo stesso imperatore a finanziarne il restauro e a restituirla al refettorio di Monte Berico. Da qui, nel 1916, partì per Firenze per allontanarla dal vicino fronte di guerra.
Si è da pochissimo concluso un ulteriore intervento sull’opera, affidato a Valentina Piovan, che ha ridato vita a questo capolavoro, oggi meglio godibile anche grazie al nuovo sistema di illuminazione messo in atto. La Cena veronesiana non è l’unico capolavoro d’arte custodito nel Santuario retto dai Servi di Maria e meta continua di pellegrinaggi. Di interesse anche artistico è innanzitutto l’effige della Vergine, notevoli anche le tele cinquecentesche del Maganza e quella del Carpioni. Inoltre merita un approfondimento il nuovo percorso museale inaugurato lo scorso anno https://www.monteberico.it/museo- darte-sacra/ .
Da non mancare, una volta quassù, uno sguardo verso la pianura, con una visione imperdibile della celebre Rotonda palladiana.
Dal piazzale del Santuario, il più bel belvedere su Vicenza dominata dall’altra Basilica, quella laica, meravigliosa creazione di Andrea Palladio. Che, inventando un meraviglioso involucro, condusse al più bel rinascimento un imponente edificio gotico. Ed è nella Vicenza del Palladio e dello Scamozzi che prende forma l’itinerario della città rinascimentale. Con un punto di avvio davvero magico, il Teatro Olimpico, dove i due grandi architetti, insieme, hanno saputo creare qualcosa di unico al mondo.
*Nella foto in evidenza: VERONESE-post-restauro-@DeFina-Musei-Civici-di-Vicenza.
Fonte: Ufficio Stampa Studio ESSECI, Sergio Campagnolo