A colloquio con Vito Felice Uricchio del Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Ricerca Sulle Acque.
In questi mesi l’emergenza idrica, aggiuntasi ai disagi della pandemia e della guerra in Ucraina, si è posta con maggior veemenza a causa della prolungata siccità acuita dai cambiamenti climatici in corso, con fiumi in secca, campi allo stremo, agricoltura in difficoltà.
Ne abbiamo parlato con Vito Felice Uricchio, dirigente del CNR presso la sede di Bari dell’Istituto di Ricerca Sulle Acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche, tra le massime autorità sul tema. E’ stato per circa quattro anni direttore f.f. dello stesso Istituto e da oltre 20 anni collabora con gli Organi Costituzionali (Camera dei Deputati in particolare VI Commissione Finanze e VIII Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici, e Senato della Repubblica in particolare VI Finanze e tesoro, IX Agricoltura e produzione agroalimentare e XII Territorio, ambiente, beni ambientali, con numerose audizioni) e del Governo con particolare riferimento al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ora MiTE, oltre che con altri Ministeri (Salute, Ricerca, Sviluppo Economico, Politiche Agricole) ed altre istituzioni pubbliche (Protezione Civile, Distretti, Autorità di Bacino, Regioni). Attualmente è presidente del Panel “Ambiente ed Energia” del CNR per la valutazione dei progetti candidati al MISE dalle imprese e finanziate dal PNRR. Da 21 anni collabora con Guardia di Finanza e Carabinieri (Legione, NOE e CUFA) e con varie Procure italiane per il contrasto ai traffici illeciti di rifiuti. Ha ottenuto importanti riconoscimenti tra cui due medaglie del Presidente della Repubblica ed è autore di oltre 400 pubblicazioni nazionali ed internazionali.
Professore, quali sono oggi cause ed effetti della crisi idrica?
«Le cause della crisi idrica sono essenzialmente ascrivibili all’importante incremento demografico su scala mondiale che ci ha portato a quasi 8 miliardi di abitanti ed anche ai differenti modelli di consumo. Si pensi che per le molteplici esigenze ed utilizzazioni di natura domestica, agricola ed industriale, il fabbisogno idrico si è incrementato di circa 600 volte negli ultimi 100 anni. In aggiunta anche i cambiamenti climatici fanno la loro parte con il costante incremento delle temperature che determina un importante aumento dell’evaporazione con maggiore necessità di irrigazione. A causa dell’aumento delle temperature, si pensi che dalle superfici dei nostri invasi, laghi e fiumi in Italia perdiamo non meno di 10.000 mc/anno per ogni ettaro di superficie dello specchio d’acqua».
Quali misure di sostenibilità sarebbero opportune per tutelare l’acqua tramite una programmazione condivisa in un’ottica di prevenzione e salvaguardia?
«La crescita di domanda idrica per le ragioni sovraesposte ha portato ad una più spinta e meno sostenibile utilizzazione delle risorse idriche, peraltro largamente insufficienti in alcune aree del Pianeta. Il principio universale della vita determina la considerazione dell’acqua come patrimonio della biosfera e pertanto fiumi, laghi, zone umide e falde devono essere gestite con la responsabilità delle comunità e delle istituzioni pubbliche. L’acqua, come servizio ecosistemico, racchiude in sé gli elementi di naturalità e di vita e gli utilizzi produttivi di cibo, di materie prime, di energia, anche per impieghi industriali, di regolazione biologica, di benessere spirituale. In tale dimensione lo sviluppo e l’attuazione delle politiche di gestione sostenibile delle risorse idriche assume grande rilievo per assicurare la stabilità del sistema biota-abiota, costruito in milioni di anni di evoluzione della vita. Per garantire tale stabilità dei delicati equilibri omeostatici che interessano l’acqua è necessaria un’attenta programmazione anche per contrastare ed affrontare i fenomeni di siccità e desertificazione. In particolare occorre un fortissimo coordinamento interistituzionale ispirato al principio della complementarietà delle competenze, puntando al riutilizzo controllato delle risorse idriche, incarnando i principi dell’articolo 9 della Costituzione italiana ed associando la tutela dell’ambiente e del paesaggio alla promozione della ricerca scientifica».
Che pensa del riciclo delle acque reflue?
«Direi che è un’opzione indispensabile quella del riuso irriguo delle acque reflue depurate. Si pensi che in Israele si ricicla il 100% delle acque depurate e che le angurie che producono ed esportano nel mondo sono prodotte con il 93% in media di acque reflue depurate. In Italia le percentuali di riutilizzo non superano l’11%, ma anche noi dovremmo porci l’obiettivo di raggiungere il 100%. Un più ampio ricorso alle acque reflue trattate potrebbe soddisfare le esigenze in agricoltura e per usi industriali e urbani».
Occorre usare bene le reti delle acque di distribuzione per ridurre al minimo la dispersione.
«Il tema delle perdite delle acque dalle reti di distribuzione è di grande interesse. Sebbene la situazione italiana stia lentamente migliorando, perdiamo ancora il 36,2% dell’acqua immessa in rete e con essa “perdiamo” anche tanta energia che ci serve per estrarla, a volte trattarla e trasportarla anche per centinaia di chilometri. Abbiamo città che perdono molto più della metà di acqua immessa in rete, quali Siracusa (67,6%), Belluno (68,1%), Latina (70,1%) e Chieti (71,7%), etc.. Tali perdite non sono giustificabili, specie ora che l’energia costa sempre più e la siccità genera problemi di disponibilità. Il problema è che l’attuale tasso di rinnovo delle reti di distribuzione dell’acqua è di 3,8 metri per chilometro, per cui per rinnovare tutta la rete occorrono circa 263 anni: con questi numeri ci si rende conto che è necessario un deciso cambiamento di passo».
Il cambiamento climatico ha provocato pesanti ripercussioni sulla nostra vita e sulle attività agricole in particolare.
«L’alterazione dell’andamento climatico è ormai un dato acquisito ed è chiaro a tutti che determina maggiore evapotraspirazione, minore innevamento, ritiro dei ghiacciai, siccità, etc., ma anche concentrazione di eventi estremi di notevole intensità e breve durata con alluvioni e dissesti. L’agricoltura è particolarmente esposta a queste criticità sia per la riduzione delle disponibilità idriche ma anche per eventi estremi che rischiano di distruggere interi raccolti. In aggiunta l’agricoltura utilizza sui nostri territori circa il 70% delle nostre disponibilità idriche. Occorre anche in agricoltura un deciso cambiamento, coltivando in pieno campo solo colture meno idroesigenti e più resistenti, ed in serre, possibilmente in idroponica, il resto delle coltivazioni. Si immagini che con l’idroponica possiamo risparmiare fino al 90% di acqua, riducendo anche i nutrienti ed evitando completamente i fitofarmaci».
Come si sta muovendo la ricerca scientifica per dare risposte alle criticità prodotte dall’attuale insufficienza idrica? E quale è il ruolo delle nuove tecnologie?
«La ricerca continua a offrire soluzioni in ogni ambito ed esprime un importante contributo nell’intera filiera della conoscenza sull’acqua, sino alla definizione di metodologie gestionali e tecnologie innovative, divenendo supporto scientifico indispensabile per la pianificazione e la programmazione. A titolo di esempio la ricerca sviluppa tecnologie di trattamento in grado di rimuovere efficacemente gli inquinanti, favorendo il riutilizzo in ogni ambito (anche industriale, oltre che agricolo), genera ammendanti a lento rilascio che trattengono l’acqua nel suolo ed evitano il rilascio di nutrienti e fitofarmaci, sviluppa sistemi per ricercare e riparare rapidamente le perdite nelle condotte (es. no dig) ed in ogni ambito di utilizzo, sviluppa approcci per utilizzare invasi sotterranei meno vulnerabili all’inquinamento ed all’evaporazione, sviluppa tecnologie per estrarre dalle acque reflue importanti materie prime utilizzabili in ambito energetico ed industriale e tanto, tanto altro».
E circa la formazione dei tecnici?
«La transizione ecologica deve essere necessariamente tecnica e culturale, puntando alla rigenerazione dei saperi, alla creazione di nuovi ambienti di apprendimento ed alla rigenerazione delle opportunità occupazionali, con percorsi formativi che guardano alla declinazione tecnica dei temi dell’ecologia e della sostenibilità. L’occupazione nel settore ambientale è in continua crescita ma necessita di una formazione specialistica di tecnici in grado applicare le tecnologie innovative con maggiore profitto economico, sociale ed ambientale».
La sfida del futuro, allora, è produrre di più con minori risorse disponibili.
«E’ una sfida alla quale stiamo lavorando da tempo e con profitto. Occorre efficientare il “Sistema Pianeta” per renderlo più sostenibile ma anche compatibile con la presenza della vita umana. Nel 2022 abbiamo raggiunto l’Earth Overshoot Day, che segna la data in cui l’umanità ha utilizzato tutte le risorse biologiche che la Terra rigenera durante l’intero anno, lo scorso 28 luglio. Da quella data in poi stiamo continuando ad erodere risorse non direttamente rinnovabili. Ed ogni anno tale data indietreggia nel nostro calendario, mentre dovremmo cercare di portarla al 31 dicembre dell’anno che stiamo vivendo: è questa la sfida del futuro!
In aggiunta tornando alle acque, per assicurare la resilienza ambientale, sociale ed economica, è fondamentale richiamare la prospettiva di una cittadinanza mondiale, prim’ancora che locale e nazionale, fondata sulla formazione, sull’etica, sulla coscienza e sull’assunzione di responsabilità individuali e collettive, radicate nella determinazione spazio-temporale della convivenza civile per la tutela di questo irrinunciabile patrimonio della biosfera e quindi dell’umanità: l’acqua».