Con la mostra “Un cerchio si chiude” di Antonia Trevisan, la Galleria Alice Schanzer continua il programma espositivo dedicato ad artisti contemporanei che abbracciano i parametri etici, culturali e spirituali dell’arte in sintonia con la visione umanistica del luogo.
La Galleria porta il nome della poetessa e critica letteraria Alice Schanzer (1873-1936) e nasce per volontà del pronipote, Marco Schanzer, come luogo di trasmissione dei valori culturali umanistici svincolati dagli attuali sistemi dell’arte.
Pensando alla parola cerchio non ci si limita al richiamo di una mera forma geometrica, fin dall’antichità infatti, il cerchio è un simbolo universale ricorrente, sia nelle varie culture, sia nella sfera privata/intima dell’uomo. Non c’è cultura che non abbia attribuito al cerchio un significato specifico connesso alla spiritualità o alla vita stessa, alla rappresentazione del tempo, del cielo, del femminile…
Con la mostra “Un cerchio si chiude”, Antonia Trevisan torna a evocare la psicoanalisi – disciplina strettamente connessa alla maggior parte delle sue opere – accompagnando il visitatore in un percorso intimo, al tempo stesso inclusivo, che giunge alla sua compiutezza.
Immaginando l’intera esistenza come un insieme di cerchi che si susseguono e a tratti sovrappongono, è fattibile visualizzare le numerose fasi della vita attraverso l’evidente sequenza: inizio, fase centrale, conclusione. Così si sviluppa anche la nuova esposizione della Trevisan.
Mediante il racconto di uno dei suoi “cerchi” iniziato nel 2020 e sviluppatosi nella relazione tra il sé e ciò che avveniva nel mondo, l’artista rappresenta, tramite punti fermi, un tratto di cammino che giunge al suo termine. Ogni opera che scorre davanti agli occhi riporta alle pagine di un diario immaginifico in cui il vissuto personale si interseca con le relazioni o la mancanza di esse, con le paure e il desiderio di vincerle, con la necessità di esprimere e il silenzio. Non è un caso che il fruitore si trovi di fronte a una serie di opere dai significati tanto profondi quanto differenti, il periodo descritto contiene immagini di rottura e distanza, di apertura e incontro ma, come in un Mandala perfetto – “schema ordinatore che si sovrappone al caos psichico e che nel comporsi, viene tenuto insieme e protetto dal cerchio” (C. G. Jung) – per l’artista il tutto si armonizza e si risolve attraverso un atto di difesa, di sostegno: l’avere cura, di sé e dell’altro.
E’ così che il cerchio di Antonia Trevisan si chiude, con delicatezza e consapevolezza, certa che con il suo compiersi si ri-apra il cosiddetto “vuoto fertile”, quello stato di grazia in cui si è pronti ad accogliere il nuovo e, per un artista, a interpretarlo e condividerlo.
La mostra “Un cerchio si chiude” è la naturale conclusione di un percorso iniziato a Mirano (VE) presso PaRDeS (maggio – novembre 2022) e a Venezia, presso Art Factory (giugno – luglio 2022) con la mostra “La Cura”, su progetto di Maria Luisa Trevisan, Rubens Tola e Tobia Ravà e proseguito con la Mostra “rEsistenti – Pensieri e opere di pace” a cura di Francesca Brandes e Maria Teresa Sega, presso la sede di Emergency all’isola della Giudecca, Venezia, (luglio 2022).
“La Cura”, mostra sviluppatasi a Mirano e Venezia, ha avuto come tema il doveroso riguardo per l’ambiente, per la natura e gli animali, per la salute dell’altro e per l’intero pianeta, ma anche per ciò che di bello e buono l’essere umano ha prodotto finora e che potrebbe continuare a realizzare, nel presente e nel futuro, in condizioni di pace, salute, serenità. Un invito quindi a ripartire dalla “cura” rileggendone il significato, per dare un volto più umano a questa nostra civiltà, spesso priva di empatia e sempre più disumanizzata.
La mostra “rEsistenti – Pensieri e opere di pace”, declinata al femminile, racconta – come scrivono le curatrici Francesca Brandes e Maria Teresa Sega – “le emergenze che ci circondano”, ma anche “il desiderio di trasformare l’esistente” accogliendo, prestando attenzione, avendo “cura”, attraverso operazioni di “tessitura, ricucitura, riparazione e rammendo, intrecci, gesti della manutenzione della vita”.
Con l’attuale esposizione Antonia Trevisan segue e sviluppa con profonda passione e personale apporto i temi tracciati dalle mostre sopra richiamate. Dodici opere tratteggiano molteplici intrecci narrativi, sociali, culturali, ideali, ma anche intimi racconti di un personale vissuto, volgendo lo sguardo all’idealità collettiva.
Antonia Trevisan, nata a Vicenza, vive e lavora tra Vicenza e Venezia. Dopo gli studi al Liceo Scientifico e successivamente all’Istituto Tecnico Sperimentale dove segue i laboratori di pittura, design per l’arredamento, progettazione e disegno, Antonia Trevisan si iscrive alla Facoltà di Sociologia di Trento, ma continua ad occuparsi soprattutto di composizione grafica e fotografia.
A partire dal 1970 frequenta, presso la Bottega di Gigi Lanaro a Vicenza, gli appuntamenti serali con, tra gli altri, gli architetti Carlo Scarpa, Arrigo Rudi, Giorgio Bellavitis, Federico Motterle, Umberto Tubini e Domenico Sandri, l’artista ceramista Pompeo Pianezzola, lo scultore del vetro Luciano Vistosi, la tessitrice e designer Renata Bonfanti. In quegli anni comincia a progettare e a mettere in opera le sue prime vetrate d’arte impiegando lastre di vetro soffiato colorato tagliato a vivo, inserite fra pannelli di vetro antisfondamento.
Nel 1988 crea il brand “Antonia Trevisan idee colore“ con il quale rende maggiormente riconoscibile il suo lavoro progettando e realizzando vetrate artistiche, anche di grandi dimensioni, per clienti pubblici e privati, in Italia e all’estero, finanche negli Stati Uniti.
Dal 2002 si dedica più intensamente alla pittura che da sempre è il collante tra le sue diverse esperienze e che diventa visibile solo nel 2010 con la prima personale, cui è seguita una cospicua serie di esposizioni in Italia e all’estero. Affascinata dai molteplici risvolti dell’Arte, elabora un proprio linguaggio personale utilizzando i materiali più diversi (oltre al vetro, la tela, la carta, l’acciaio corten, il piombo in lastra, il forex, il plexiglass e così via) indagando attraverso le sue opere il rapporto tra spiritualità e materia (“Tracce, l’ospitalità della materia” – Vicenza 2010) la connessione tra l’essere e il proprio corpo (“Synaptic space” – Venezia 2013), le assonanze fra Arte e Psicoanalisi (Gradiva-Milano 2015), il tema del legame e della libertà (“Bondless” – Venezia 2016), quella del rapporto fra Arte e Medicina (“Cicatrices” – Ginevra CH 2016), il contrasto tra violenza e compassione (Cibiana di Cadore BL 2016), la riflessione sull’accoglienza (“Refectory” – Venezia 2017), l’arte del vetro (“Il nido di perle” – Museo del vetro, Venezia 2018 e Ca’ Vendramin Calergi, Venezia 2019; “Le mani delle donne del vetro” – Venezia- Giudecca Villa Heriot 2020; “Donne del Vetro Bienno” – Casa Valiga (BS) 2020; “Riflessioni e trasparenze” – Pardes, Mirano).
*Nella foto in evidenza: Incontri, 100X100, olio catrame su tela
Fonte: FG Comunicazione – Cristina Gatti