Siamo i testimoni dell’inizio di una nuova epoca la cui unica certezza è che sarà impossibile tornare totalmente alla vita e alle abitudini di un anno fa.
E’ passato circa un anno dallo scoppio della pandemia, che ha sconvolto usanze che si credevano consolidate nei secoli.
E’ solo un anno ma ormai – purtroppo – è normale quando incontriamo un vecchio amico non poterlo abbracciare. Forse abbiamo anche dimenticato quando la metropolitana era strapiena e ci accalcavamo tutti (tranne che in estate), nella scuola i docenti facevano le migliori lezioni con la presenza attiva in aula, l’ufficio rappresentava un rito e una necessità (se per qualche trasferta si stava fuori qualche giorno, la cosa sembrava alquanto strana e insolita).
I cibi da asporto erano una variante, forse una moda, ma non una necessità. La tecnologia digitale era vincente ma non alla portata di tutti e la sua generalizzazione era al di là da venire, almeno a breve, così si riteneva.
La limitazione dei contatti sociali per evitare di contribuire alla diffusione dei contagi ha fatto perdere quella complicità che si creava con persone quasi sconosciute, che inavvertitamente costellavano la nostra quotidianità: la persona accanto a noi in coda al supermercato, colleghi di settori affini con cui ci si poteva incontrare in mensa, il cameriere del bar, il signore accanto alla pensilina con cui si commentava il ritardo del tram, la ragazza che frequentava la palestra alla stessa ora, il vicino di casa con cui ci si incrociava in ascensore.
Non si trattava di un rapporto di amicizia nel senso pieno, ma più che altro di conoscenti, persone di cui si conosceva il volto e non il nome. Persone che a causa del Covid sono venute meno.
La realtà però è che questi contatti superficiali sono essenziali alla nostra giornata. I sociologi li chiamano “legami deboli”: conoscenti, persone che si vedono di rado, e semisconosciuti con cui si condivide una certa familiarità, e insieme a loro è venuta meno anche la gioia che questi contatti potevano provocare.
Persone alla periferia della nostra vita ma importanti per la vita di relazione, protagonisti di rapporti fugaci ma importanti per riempire i tempi morti della giornata.
Con costoro si potevano fare quelle quattro chiacchiere. Facevano bene queste chiacchiere occasionali, usuali e scontate quando non c’era la paura dell’altro, tanto che non ci si faceva neppure caso per la loro normalità. Ma il virus non può cambiare anni di pratica culturale. Per cui conviene fare lezione della pandemia per quando l’emergenza sarà passata, non dando per scontati questi incontri superficiali eppure importanti. Li apprezzeremo ancora come meritano e magari ci metteremo un po’ di gentilezza e qualche sorriso in più.
Praticamente dopo un anno di pandemia si stanno sfocando i ricordi della vita “normale”, o che pensavamo fosse normale. Il tempo sospeso del Covid ci sta facendo vivere un tempo senza tempo. Ora come ora è difficile capire la mutazione antropologica nella quale siamo pienamente immersi. Non ci sono riferimenti analoghi e quindi non possiamo aggrapparci al pregresso, all’esperienza, al passato.
La pandemia ha trasformato profondamente il modo di vedere il mondo attorno a noi. Le regioni ormai sono abbinate a colori di prevenzione o di sicurezza, mentre prima le collegavamo a colori di schieramento politico. Il Nord maggiormente colpito dalla pandemia ha ribaltato la concezione che le regioni problematiche sono quelle del Sud. Si è anche modificato il senso delle parole: dire ora che uno è positivo, farebbe scattare meccanismi di difesa … negativi.
In pratica forse siamo i testimoni dell’inizio di una nuova era. Così se il tempo che scorre sempre più rapidamente ci fa dimenticare il prima, diventa anche difficile immaginare il dopo. Unica certezza è che sarà impossibile tornare totalmente alla vita e alle abitudini di un anno fa.