Provocatorio come l’opera da cui è tratto, lo spettacolo muove dal proposito di dimostrare come una coscienza umana “vergine” possa essere riempita, e con ciò violentata, con l’esercizio di formule linguistiche convenzionali.
“Vorrei diventare un tale come già un altro fu“. È da questa frase che prende spunto lo spettacolo Kaspar (ovvero una tortura di parole) della compagnia Barletti/Waas, rielaborazione della celebre opera teatrale del Premio Nobel Peter Handke sulla misteriosa vicenda di Kaspar Hauser, un giovane tedesco vissuto nella prima metà dell‘Ottocento presentatosi al mondo privo di linguaggio che affermò di essere cresciuto in totale isolamento in una cella, in scena giovedì 9 e venerdì 10 dicembre (ore 20:30) al Teatro Palladium.
Provocatorio come l’opera da cui è tratto, lo spettacolo muove dal proposito di dimostrare come una coscienza umana “vergine” possa essere riempita, e con ciò violentata, con l’esercizio di formule linguistiche convenzionali. Nello spettacolo il “Suggeritore” (Werner Waas), sottopone Kaspar (Lea Barletti) a una vera e propria tortura di parole fino a quando quest‘ultimo acquista proprietà di linguaggio, si “integra” nella società e comincia successivamente a ribellarsi contro il suo interlocutore fino a complicare il gioco al punto da non sapere più con esattezza chi è a condurlo. Lo spettacolo Kaspar non mostra come stanno veramente le cose o come sono andate veramente le cose con Kaspar Hauser, ma mostra cosa è possibile fare con qualcuno, come qualcuno possa essere portato a parlare attraverso il parlare.
Note di regia: è possibile portare un essere umano ad una identità attraverso la parola? O, come dice Handke, attraverso una tortura di parole? All’inizio Kaspar è una specie di essere “puro” in relazione immediata e sconfinata con tutto quello che lo circonda. Alla fine del suo percorso di “integrazione”, Kaspar è portato nella realtà, ed è consapevole di cosa ha perso per strada. È la storia di noi tutti, e da questa storia deriva tutto ciò che chiamiamo coscienza. Le emozioni e le parole non coincidono, non si può fare affidamento sulle parole. L’unica cosa che si può fare è continuare a indagare a partire dalla propria diffidenza, per poi scoprire che è una ricerca senza fine. In questo percorso ci ritroviamo tutti molto più vicini e simili gli uni agli altri di quanto avremmo pensato. Siamo tutti Kaspar – bisogna solo mettersi in ascolto. Come dice Kaspar: “Io sono io solo per caso“. (Lea Barletti e Werner Waas)
Lea Barletti e Werner Waas si sono conosciuti molti anni fa a Roma. Da allora vivono e lavorano insieme, prima a Roma, poi a Monaco di Baviera, Lecce e attualmente a Berlino. Insieme hanno prodotto, diretto e interpretato un gran numero di spettacoli, fondato una compagnia teatrale (Induma Teatro), cofondato un Centro Culturale Multidisciplinare (“Manifatture Knos”, a Lecce, tutt’ora attivo seppure ormai senza di loro), organizzato sette edizioni (tra il 2008 e il 2015) del Festival/Laboratorio di arti performative “K-now!” (sempre a Lecce), inventato un premio nazionale di drammaturgia contemporanea (“Il Centro del discorso”, tre edizioni tra il 2008 e il 2011) e fondato un’altra compagnia (Barletti/Waas), con la quale attualmente girano e lavorano tra Germania e Italia, e fatto negli anni un gran numero imprecisato di altre cose, tra cui due figli (Rocco e Tobia).
Fra i loro lavori: “Dulce Est” di H. Achternbusch (2005), “Cowboy Mouth” di S. Shepard (2006), “Tra un’ora e 12 minuti” da L. Norén (2008), “Anarchia in Baviera” di R.W.Fassbinder (2009), “Autodiffamazione” di P. Handke (2013), “Tristezza&Malinconia” di B. Park (2015), “Kaspar” di P. Handke (2017), “Monologo della buona madre” di L. Barletti (2018), “Natura morta con attori” di Fabrizio Sinisi (2019), “Ashes to Ashes” di L. Barletti (2019), “Antigone” di Sofocle (2020), “Weissagung” di P. Handke (2021), “Ueber die Doerfer” di P. Handke (2021)
Fonte: Ufficio stampa GDG press