In questa recensione del libro “La fine è il mio inizio. Un padre racconta al figlio il grande viaggio della vita”, Paolo Rausa ripercorre le esperienze di vita dell’autore, Tiziano Terzani, per interpretare l’essere più profondo di colui che non definiva intellettuale.
Il dialogo fra Folco e Tiziano Terzani è denso e onnicomprensivo di tutte le domande che nel corso della vita si è posto il grande giornalista fiorentino, nato nel 1938. Terzani si sottopone ad un fuoco di fila e non disdegna di esporre il suo punto di vista alla luce delle straordinarie esperienze giornalistiche e umane che lo hanno portato in gran parte degli scenari internazionali. Tiziano Terzani è spinto dalla curiosità di capire che cos’è l’uomo e come ha reagito alle guerre imperialiste, in Vietnam per es., Cambogia, al colonialismo, al tentativo di disegnare una nuova strada politica e ideale per dare risposte alle condizioni di miseria e alle aspettative, ai desideri dei popoli. Ne viene fuori dall’ascolto delle sue puntuali risposte – lo dico perché è come se fossimo lì con Folco ad ascoltare i suoi pensieri profondi – il quadro di un uomo che non si definisce intellettuale, anzi aborre gli intellettuali, giornalista, fotografo e osservatore attento a guardare gli occhi e i pensieri dei suoi interlocutori. Tiziano Terzani è stato un grande umanista! Non di lettere, non della riscoperta dei classici, per quanto poi la sua formazione gli ha consentito di mettere in correlazione certe correnti di pensiero occidentale con quello orientale. Ma lo è stato di simpatia alla greca, di dolore e sofferenza condivise. Il suo entusiasmo è alle stelle quando riesce ad ottenere l’incarico di corrispondente del settimanale tedesco Der Spiegel che gli consente di recarsi in Cina, nel Sud Est asiatico, in Vietnam, Cambogia, Cina e poi in India. Le esperienze drammatiche delle guerre di liberazione lo spingono a solidarizzare con gli esasperati che si rivoltano ai regimi dittatoriali o alle invasioni imperialiste in Vietnam, per es., per poi subito dopo sperimentare la delusione nei confronti dei nuovi regimi che non risparmiano crudeltà identiche nei confronti degli oppositori. Ecco allora che il pensiero di Terzani cambia prospettiva, non crede più che la liberazione passi dalla politica ma sia un processo di conquista interiore, saggezza sofferta. Perciò è deluso dalla Cina di Mao, che mette al bando le opere d’arte frutto della sensibilità tradizionale e il pensiero antico, il confucianesimo, in una furia distruttiva, perché espressione del passato da superare sotto i dettami ideologici della nuova era. Denuncia così il nuovo corso fallace e viene espulso come indesiderabile e sobillatore controrivoluzionario.
Guarda allora all’India di Gandhi, misura di ogni cosa, al pensiero che riflette la nostra condizione umana per innalzarsi verso un’entità superiore, sia anche espressa dalla bellezza aurorale delle cime dell’Himalaya dove trascorre tre mesi della sua vita con un Vecchio saggio rigorosamente in silenzio, per ascoltare l’intimo. Riemerge credo dai suoi studi liceali il pensiero della metriotés e della autarkeia di Seneca e di Orazio e prima ancora di Epicuro, la rinuncia alle ricchezze, la conquista della levità, latrici della volontà di un uomo che ha voluto toccare con mano il cuore e la perfidia degli uomini e che ora si affiderebbe ad una repubblica non platonica ma di giovani poeti, in grado di reimpostare una nuova società senza discriminazioni e violenze e sopraffazioni. Al termine della sua vita riconosce nella sua Orsigna la terra della poesia e della magia, dove i pastori, i contadini e i valligiani vivono nella semplicità la poesia di una vita di stenti ma anche scanzonata. “Chi sono io?” si chiede Terzani. Non un profeta, non un leader, ma uno sbandieratore dietro cui inconsapevolmente, come Charlie Chaplin in Tempi moderni, una massa di ultimi e diseredati si affollano dietro di lui per raggiungere il carro del progresso e realizzare una nuova modalità di vita. In questo senso possiamo definire Terzani un pensatore, un saggio, un guru senza seguaci, ma interlocutore del mondo, che ha indicato una possibile via di salvezza come rinuncia ai beni e al potere. “Che cosa lasciamo dopo di noi?, si chiede il giornalista. Sicuramente i figli e i nipoti ma anche un libro da sfogliare in cui racchiudere i sentimenti, gli stati d’animo, i pianti di compartecipazione ma anche le risate liberatorie. “La vita mi ha fatto due regali – dice -, il cancro e la pensione. E’ allora che ho mollato il mondo e sono andato a vivere in un ashram con il maestro Swaniche che mi insegnava il sanscrito e il senso della filosofia indiana, se mai religiosa”. E ad accettare la morte, vista come la fine della nostra esperienza umana ma inizio di un nuovo percorso insondabile e ineffabile. “Io sono stato diverse cose: giornalista viaggiatore, scrittore, ma alla fine non sono nessuno”. Con queste semplici parole Terzani pone fine al dialogo con noi, sgomenti presaghi del suo subitaneo passaggio ad una condizione immateriale. Muore nel luglio 2004. Terzani ha scritto numerosi saggi da “Pelle di leopardo” e “Giai Phonh! la liberazione di Saigon” sulla guerra del Vietnam a “La porta proibita” sulla Cina del dopo Mao, a “Buona notte, signor Lenin”, sul crollo dell’Unione Sovietica, mentre in “Un indovino mi disse” trascrive le riflessioni su dove va il mondo, del 2002 sono “Lettere contro la guerra”, in cui depreca la risposta della violenza con la violenza contro il terrorismo, e infine “Un altro giro di giostra”, una riflessione profonda sul senso della vita. Tutti editi dalla Longanesi. “La fine è il mio inizio” è del 2006, Longanesi, Milano, pp.466, € 17,00.