“Questo libro è frutto di anni di amore per i miti e la storia greca, di studio, di condivisioni in classe coi miei ragazzi, di devozione e forse anche di un po’ di follia…”, così esordisce nelle note finali la scrittrice Marilù Oliva, saggista e docente di lettere, nonché giallista dal noir ai thriller d’azione.
Che cosa se non la passione spinge a riportare alla nostra attenzione uno dei poemi greci più significativi di tutti i tempi, accanto all’Iliade, attribuiti al cantore Omero ma più verosimilmente al ciclo mai interrotto dei cantori nel corso dei secoli, se non l’ammirazione per la poesia epica che descrive fatti, battaglie e stati d’animo dei grandi eroi della saga greca delle origini. In più il cambio di prospettiva, il cambio di visuale: le vicende viste e narrate dalla sensibilità femminile. Un recente tentativo narrativo che ha visto una scrittrice inglese riprendere ad esporre la guerra di Troia dalla parte delle donne e in particolare della schiava Briseide. Si tratta di Pat Barker ne “Il silenzio delle ragazze”, 2019, per i tipi di Giulio Einaudi editore. Mentre lì l’intento è quello rivendicativo di un ruolo delle donne ridotte a puro oggetto del desiderio o a schiave addette alle pulizia, alla cucina e a servire nei banchetti gli eroi sitibondi, qui invece le donne, umane o dee che siano, giocano una partita importante, desiderano o resistono alla violenza, tessono manti e storie, racconti. Ne sanno qualcosa Atena/Minerva che lega il passaggio da un personaggio femminile all’altro, la dea dell’intelligenza e della tessitura, della trama, che confligge con le umane quando vogliono gareggiare con lei nell’arte, vedi Aracne, e Penelope che tesse la trama di una storia che si fa e si disfa, non giungendo mai all’epilogo se non quando ritorna l’eroe a fare strage dei Proci e a riportare ordine nella sua casa-reggia-isola-società greca. Mentre nell’Iliade gli eroi sono alla conquista della kléos, la gloria, in una guerra continuata a cui prendono parte anche gli dei, nell’Odissea invece l’eroe omerico è solo con la sua “compagnia picciola”, che freme per tornare in patria, dice Dante di lui, l’astuto Ulisse, il polymetis, dal multiforme ingegno traduce Ippolito Pindemonte. “L’intento della mia Odissea, narrata dalle donne – Circe, Calipso, le Sirene, Euriclea, Nausicaa e Penelope, ma soprattutto Atena – era realizzare un lavoro di riscrittura fedele al testo originale, che desse voce alle diverse e corpose figure femminili qui incontrate”. Tutte concorrono a definire una trama avventurosa e sentimentale, fatale, che impedirebbe il ritorno in patria dell’eroe, se non intervenisse la sua protettrice Atena. E così queste donne richiamano in qualche modo l’anelito sempre attuale ad un amore profondo e ineffabile che si scontra con la realtà inesorabile: Calipso richiama l’idea degli amanti condannati alla solitudine, Circe il potere di seduzione che spinge all’emancipazione, le Sirene il fascino distruttivo, Nausicaa l’amore ingenuo e totalizzante e infine Penelope, fedele sino all’inganno nei confronti dei suoi spasimanti Proci, che non cede neppure al forestiero che assomiglia ad Ulisse, da cui richiede l’ultima prova nel segreto del talamo intagliato nel tronco d’olivo. Questo racconto del peregrinare di Ulisse fra errori, amori, speranze e aneliti di giustizia infine, dopo 20 anni, trova una sua conclusione momentanea fra le braccia della donna paziente e astuta, per poi ripartire fino a che non incontrerà un popolo che ha deposto i remi e che usi il ventilabro. Non prima di aver sperimentato l’oblìo, suggerito da Atena e consacrato da Zeus, nel rapporto con i parenti dei principi trucidati. Quando si fermerà? Ulisse ha girovagato nel Mediterraneo ed ora continua la sua corsa “folle” nello spazio alla ricerca di sé stesso. Solferino Libri editore, 2020, pp. 218, € 16,00.