Esperti di settore hanno fatto il punto ieri, nell’ambito della rassegna di conferenze digitali “Tempo di Rinascita”.
Il presente e il futuro del settore dell’arte sono stati al centro della conferenza digitale organizzata ieri, 15 giugno, all’interno della rassegna ‘Tempo di Rinascita – Scenari, idee, progettualità’, ideata dall’agenzia di comunicazione DOC-COM per riflettere a più voci sul mondo che sta cambiando.
A confrontarsi sul tema: il professore Stefano Monti, partner del gruppo Monti&Taft; Stefano Baia Curioni, direttore della Fondazione Palazzo Te, professore associato al dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università Bocconi di Milano; Simona Gavioli, critico d’arte, curatore indipendente, direttore della fiera di arte emergente BOOMing di Bologna; Tommaso Tisot, collezionista, avvocato esperto in diritto dell’arte e presidente di Professional Trust Company; Massimiliano Pelletti, artista e scultore; Daniela Furlani, presidente di Doc Creativity, la cooperativa parte della Rete Doc, che riunisce i professionisti del settore; Stefano Gris, architetto partner dello studio Gris+Dainese, specializzato nella progettazione di spazi museali.
Cosa è emerso?
La necessità di uno sviluppo digitale, a partire da tecnologie conosciute e già disponibili, ma ancora quasi mai utilizzate.
Ad aprire il dibattito, Stefano Monti, partner del gruppo Monti&Taft, che ha fatto il punto sulla digitalizzazione delle imprese e delle istituzioni nel mondo dell’arte. Monti ha sottolineato in particolare la necessità di partire dall’uso di tecnologie e strumenti già conosciuti e a disposizione, ma ancora poco o quasi affatto utilizzati.
Secondo una ricerca condotta da Monti&Taft, infatti, il 31% dei musei non ha neanche un profilo social, il 48% non ha un sito mobile-friendly e il 53% non ha un sito web esclusivo. Le percentuali salgono se ci si posta verso strumenti come il CRM informatizzato, non presente nel 64% dei musei, il sistema di e-ticketing, che risulta assente nell’80% dei casi, arrivando addirittura al 91% dei musei che non sono dotati di un sistema automatizzato a supporto dell’e-commerce.
Con tali numeri diventa quindi urgente colmare questo gap tecnologico perché, come sottolinea Monti: «Cultura e turismo hanno ampi margini di miglioramento. Se riescono a cogliere le giuste opportunità, saranno necessariamente dei settori tra i più produttivi e con maggior capacità di assorbimento delle risorse umane del nostro Paese. Altro che “si mangia”, con la cultura si cresce».
Sulla grave crisi del mercato dell’arte e, ancora, sulle prospettive di uno sviluppo digitale del settore, è intervenuto anche Giacomo Nicolella Maschietti, giornalista, esperto di arte e mercato: «Siamo nel mezzo di una crisi vigorosa. Secondo l’economista Donald Thompson, 1/3 delle gallerie rischia di chiudere, mentre i giganti del settore, come le case d’asta e le fiere, non riusciranno ad avvicinarsi ai fatturati degli anni scorsi con le sole vendite on-line.
Per fare un esempio, il fatturato on line di Sotheby’s, nel 2019, ha costituito solo un 2% del fatturato totale, mentre l’edizione digitale di Art Basel di Hong Kong ha realizzato vendite per 80 milioni di dollari, una cifra di gran lunga inferiore rispetto agli standard».
Ma fortunatamente non tutti i mali vengono per nuocere. «Ci sarà innanzi tutto una selezione naturale di aziende non sane – prosegue Nicolella Maschietti –. E il digitale, finora poco e male utilizzato (ancora a febbraio alcune tra le maggiori realtà di settore continuavano a ritenere Instagram un canale non necessario) acquisirà sempre più valore. Per la comunicazione e per la diffusione di contenuti, ma anche per le vendite, esattamente come già anticipato da altri settori, moda e lusso in testa. Ma, soprattutto, il digitale sarà un vero e proprio materiale per la creazione di contenuti: se Michelangelo, nel Cinquecento, sceglieva accuratamente il marmo della Versilia per le sue opere, oggi il digitale può trasformare qualsiasi pensiero immateriale un’opera d’arte».
Suggestivo l’intervento del professor Stefano Baia Curioni, direttore della Fondazione Palazzo Te: «Ha fatto molto discutere la provocazione del direttore di Art Basel Marc Spiegler, che ha agitato lo spettro di una sorta di Amazon Art per sostenere la ripresa.
Credo invece che la svolta per uscire dall’impasse in cui la pandemia ci ha lasciati sia proprio in una nuova modalità di entrare in contatto con le opere d’arte, un nuovo modo di immaginare la presenza». Il direttore ha portato l’esperienza della Scuola Palazzo Te durante i mesi di lockdown: «Girare per il Palazzo vuoto è stata toccante e mi ha portato a riflettere su come ci prepariamo di nuovo alla presenza.
Il video della performance della poetessa Maria Angela Gualtieri che legge Alcesti (www.centropalazzote.it/Mnemosyne/scuola-palazzo-te/#single/0) è una testimonianza della qualità di questa presenza, fatta di contatto, empatia, carisma, emozione. Un’ispirazione per il futuro sul piano lirico e su quello politico; dobbiamo ripensare il nostro essere presenti sul piano politico e culturale, nel rapporto con le istituzioni e con le comunità. Diventa indispensabile un cambiamento organizzativo in chi si occupa di arte, oltre a un’apertura diversa ai temi dell’educazione e della prossimità, per essere presenti nella vita dei cittadini. Contemporaneamente il lavoro interstiziale di musei, fondazioni e gallerie che sapranno restare vicino al pubblico, creerà terreno fertile per coinvolgere i fruitori in attesa della ripartenza del settore. Investire sulla qualità della presenza diventa quindi il tema della ripresa, una presenza che significa saper stare nel tempo, in un determinato istante, e che così diventa dono».
Simona Gavioli, critico d’arte, curatore indipendente, direttore artistico della fiera di arte emergente BOOMing di Bologna, guarda all’arte urbana come a quella più necessaria e precorribile in questo momento storico. «Pensavo in questi giorni a Baudelaire che, ne Il Pittore della vita moderna racconta come la modernità sia contaminazione e consapevolezza che l’arte debba abbandonare l’aureo isolamento e l’artista diventare uomo della folla, flâneur. In questo momento più che mai, abbiamo la necessità di far emergere una nuova e rigenerata idea di opera d’arte, una nuova idea di arte pubblica e di arte urbana. È necessario ripensare una rilettura dell’opera che coinvolga sempre più persone, in presenza. Come ad esempio accade nel progetto Without Frontiers, Lunetta a Colori che ogni anno coinvolge oltre 50 street artist, associazioni e istituzioni nel territorio di Mantova. In questo periodo non solo l’artista ha incarnato questa figura baudelairiana, ma anche ogni cittadino, che dopo settimane di clausura forzata, è diventato osservatore di particolari, ha imparato ad analizzare e valorizzare il quotidiano. Una delle opportunità che ci ha dato il lockdown è stato toccare come mano situazioni in cui l’arte è tornata ad avere la sua funzione sociale, partecipativa e inclusiva nello spazio pubblico. Secondo me è questa la direzione sulla quale muoversi verso il futuro».
Le nuove frontiere del collezionismo guardano oltre la digitalizzazione, necessaria, ma non sufficiente, secondo Tommaso Tisot, collezionista, avvocato esperto in diritto dell’arte e Presidente di Professional Trust Company SpA. «Sono convinto che bisogna riportare l’arte in galleria, in strada, a contatto con le persone. La digitalizzazione non basta. C’è bisogno di una maggiore e rinnovata umanità, anche per dialogare con i più giovani che subiscono un approccio difficoltoso e poco coinvolgente alle stanze dell’arte. Tutto quello che è accaduto oggi può offrirci la grande opportunità di ripensare il sistema dell’arte nel suo complesso, non solo a segmenti stagni, come quello economico o dello sviluppo digitale. Dobbiamo recuperare e imparare a investire nel rapporto umano.
Utilizzando fiere ed eventi minori dove scoprire piccole realtà che il collezionista, nel mio modo di vedere, ha anche il compito di sostenere e che acquisiranno sempre maggior rilevanza accanto ai grandi appuntamenti di massa».
Si, la bellezza può salvare il mondo. Ne è convinto l’artista e scultore Massimiliano Pelletti, in questi giorni protagonista al MARCA – Museo delle Arti di Catanzaro di Looking Forward to the Past: personale a cura di Alessandro Romanini di 30 opere scultoree che, fedeli alla poetica dell’artista, rielaborano in chiave dinamica il concetto di classicità. «Durante tutto il lockdown mi sono svegliato sempre molto presto – ha raccontato –, la luce del mattino mi riportava alla mia infanzia, quando nello studio di mio nonno scultore imparavo a riconoscere la bellezza attraverso i giochi di luce che si posavano sulle statue di marmo. Credo che per riportare la bellezza e la poesia nella vita di ciascuno di noi dopo un periodo così difficile, la figura di chi fa arte sia fondamentale. Ogni tanto mi capita di pensare a quanto la nostra società si sia imbarbarita e faccia difficoltà nel riprodurre qualcosa di bello, come invece la nostra tradizione è riuscita a fare nei millenni. Riscopriamo le nostre origini e tradizioni e impariamo a tirare fuori la bellezza e le qualità che da sempre ci hanno contraddistinto. “Di che arte vivremo?”. Io trovo ispirazione in questa frase di Gustav Mahler “Tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri”».
L’arte è innanzi tutto lavoro, di cui questo periodo di stop forzato ha messo particolarmente in evidenza le mancanze che il settore artistico e culturale da sempre subisce. Impegno e soluzioni per la tutela dei lavoratori dell’industria culturale e creativa vengono dal mondo cooperativo, da realtà come Doc Creativity. Cooperativa nata nel 2017 e parte della Rete Doc, da 30 anni il maggiore network cooperativo in Italia nei settori cultura, arte, musica e spettacolo, con oltre 8mila soci, 34 uffici in Italia e 1 all’estero, a Parigi. «Voglio citare uno studio iniziato nel 2012 da Paola Dei e appena pubblicato su Phenomena Journal, che ha dimostrato come esista una connessione tra il godimento della bellezza e il benessere fisico – le parole della presidente di Doc Creativity, Daniela Furlani –. Uno stimolo ulteriore per le istituzioni e non solo ad abbracciare un impegno concreto per il mondo dell’arte. In questo particolare momento, siamo fieri di essere riusciti a portare, grazie al lavoro della Fondazione Centro Studi Doc, all’attenzione del Governo le necessità di un settore che coinvolge migliaia di professionisti che da inizio marzo si sono visti bloccare ogni tipologia di attività e in cui l’intermittenza del lavoro è ontologicamente intrinseca. Per la creatività e la generazione della bellezza è importante salvaguardare gli artisti e assicurare loro una continuità: è una sorta di garanzia per l’arte futura e per la salvaguardia del patrimonio culturale del nostro Paese».
E il futuro dei luoghi dell’arte? Per creare nuove opportunità di fruizione bisognerà anche portare l’arte in territori inesplorati. È quello che sostiene l’architetto Stefano Gris, partner dello studio Gris+Dainese, specializzato nella progettazione di spazi museali. «Quegli spazi finora immaginati come non-luoghi possano diventare aree dedicate alla fruizione artistica. Il nostro obiettivo – ha spiegato Gris – è creare uno spazio in cui il racconto che metteremo in scena spingerà il fruitore a riflettere su temi che si sviluppano a livello globale. Dove andranno quindi nei mesi a venire la cultura, l’arte e i musei? Andranno a occupare anche quegli spazi che, avendo un passaggio elevato di persone, è auspicabile possano assumere le sembianze di luoghi dedicati alla cultura.
Proprio in questo periodo stiamo lavorando a un progetto che coinvolge un grande player della GDO che ci ha chiesto la realizzazione di spazi espositivi e interattivi in cui avvicinare i fruitori a riflettere su temi culturali legati all’azienda»
N.B. – Tutte le opere riportate nell’articolo sono dello sculture Massimiliano Pelletti
Fonte: Ufficio Stampa DOC-COM