Un racconto lungo un secolo. Dodici canzoni (più una ghost-track) che attraversano il ‘900 e lo raccontano attraverso le storie di personaggi minori, figure che vissero i grandi eventi della Storia dietro le quinte, uomini e donne che non hanno avuto gli onori della cronaca, ma che hanno comunque vissuto e partecipato in posizione marginale o defilata ad alcuni dei momenti cruciali del XX secolo o a momenti a loro volta “minori” ma significativi del secolo appena trascorso. Il nuovo disco del cantautore trevigiano Alberto Cantone, Breve danzò il Novecento, è disponibile dal 21 marzo, e prosegue lo stile e la Poetica dei precedenti lavori, accomunati dalla medesima scelta narrativa di concept album aperti, cioè, con un filo conduttore non troppo stringente, ma comunque identificativo. «Angeli ribelli, il primo disco, si basava sul contrasto tra sognatori e ribelli – spiega Cantone – il successivo C’era un sogno nel cappello invece si basava sul sogno e la follia ed era dedicato a Franco Basaglia e Oliver Sacks, mentre l’ultimo, Il viandante parlava del nomadismo come condizione dell’anima».
In Breve danzò il Novecento, invece, Alberto Cantone ripercorre musicalmente il cosiddetto “secolo breve”, che, secondo lo storico britannico Eric Hobsbawm, iniziò con l’attentato di Sarajevo e la Prima Guerra Mondiale nel 1914 e finì nel 1989 con il crollo del Muro di Berlino. Gli episodi più importanti e cruciali vengono quindi messi in musica attraverso gli occhi e le parole di comprimari, di coloro che non salirono sulla scena della Storia da protagonisti, ma assistettero e vissero comunque quei grandi cambiamenti epocali.
«Per la Prima Guerra Mondiale, ad esempio – dice Cantone – ho voluto raccontare la storia di quella piccola tregua che avvenne nella notte di Natale del 1914. Due eserciti, composti da ragazzi di 18-20 anni, che si ritrovano, per una notte, a non doversi uccidere l’un l’altro. È un episodio ispirato a un fatto realmente accaduto che io ho voluto rielaborare e ambientare, con una finzione narrativa, non sul Fronte Occidentale, dove in realtà avvenne, ma sul fronte carsico, più vicino a noi e ai racconti di guerra dei nostri nonni. La canzone si intitola “Passa” ed è stata scritta insieme al pianista e musicista Michele Borsoi appositamente per uno spettacolo teatrale, interpretato da una compagnia di giovani di Vittorio Veneto, luogo così profondamente segnati dalla memoria della Grande Guerra, della stessa età di quei soldati-bambini mandati ad affrontare la sofferenza delle trincee».
La Seconda Guerra Mondiale e i suoi orrori rivivono invece nel brano La moglie del comandante (Lettera da Oświęcim). Oświęcim è il nome polacco di Auschwitz e in questa canzone Cantone affida il racconto del campo di concentramento direttamente alla moglie del comandante: nelle sue parole il lager è visto come se fosse un ballo elegante, una cerimonia di corte: «Tutto l’orrore di quel luogo diviene così una cena elegante con gli altri ufficiali che vengono a visitare il campo di sterminio. Una storia – sottolinea Cantone – narrata non da una persona incapace di comprendere cosa stia realmente accadendo, ma da una donna consapevolmente complice. Per trovare il suono di quelle “orchestrine” che rallegravano realmente le serate della vita sostanzialmente “normale” che il comandante e la sua famiglia conducevano nei loro appartamenti, circondati dall’orrore del campo di prigionia, mi sono recato la scorsa estate a Terezim, in Boemia, a visionare e ascoltare dei filmati del tempo.».
Ha invece come protagonista un altro comprimario, un giovane atleta australiano che, dopo una notte che avrebbe potuto essere di gloria, terminò in modo drammatico la sua carriera sportiva (e la sua vita) la canzone che ripercorre il 1968: Peter Norman fu infatti il corridore che ai Giochi Olimpici di Città del Messico del 1968 si trovò a condividere il podio con Tommie Smith e John Carlos, i due atleti di colore che durante la premiazione alzarono al cielo il pugno guantato di nero simbolo delle Black Panther. La fotografia che li immortalò in quel gesto fece il giro del mondo e loro divennero un’icona della lotta antirazzista, ma pochi ricordano il nome di quel terzo atleta che, dice Cantone, fu «quello che pagò il prezzo più alto: gli altri due diventarono degli eroi, un’autentica icona del ‘900, lui invece, l’atleta australiano, che fece il record australiano di sempre e vinse la medaglia d’argento, venne squalificato dalla sua federazione per aver indossato l’adesivo degli atleti contro il razzismo e morì abbastanza giovane, povero e solo senza aver più potuto correre una gara ufficiale».
Il regista e il mediano, invece, è il brano con cui Alberto Cantone affronta gli anni ’70 del XX secolo ripercorrendo la vita di Luciano Re Cecconi, calciatore della Lazio, ucciso a Roma da un eccesso di difesa di un gioielliere e non da “uno scherzo finito male”, un anno e due mesi dopo l’uccisione di Pier Paolo Pasolini. «Sono due persone – dice Cantone – legate dalla passione per il calcio: Pasolini, infatti, considerava il calcio “l’ultima grande sacra rappresentazione del nostro tempo”. Un intellettuale che amava il pallone, quindi, e un ragazzo di borgata che faceva il calciatore, raccontati con due storie parallele accomunate da una fine drammatica e mai del tutto chiarita, dall’aver subito al tempo il giudizio da parte dei benpensanti di “essersela andata a cercare”».
Per gli anni ’90, infine, il cantautore ha scelto di ripercorrere la storia della Pantera, l’ultimo dei movimenti di protesta universitari dopo quelli del 1968 e del 1977. Il movimento forse più dimenticato, quello, spiega Cantone, «in fondo meno autorevole e che lasciò meno tracce, ma che, in qualche modo, comprese alcune della trasformazioni della nostra epoca perché era un movimento che se la prendeva soprattutto contro la privatizzazione dell’università e contro la svendita del sapere e della cultura ai poteri forti. In un certo senso, quindi, capì ciò che stava arrivando e morì forse perché troppo attento alla propria immagine, a quella centralità della comunicazione contro cui esso stesso si scagliava e di cui era esso stesso figlio»
Breve danzò il Novecento è disponibile dal 21 marzo. Oltre ad Alberto Cantone (voce e chitarra) hanno partecipato alla realizzazione dell’album Michele Borsoi (pianoforte e tastiere);Gianantonio Rossi (chitarra); Nicola Casellato (archi); Simone Bortolotto (contrabbasso);Sebastian Piovesan (basso elettrico); Giorgio Cedolin (batteria); Iseo Pin (batteria); Sandro Gentile (percussionista, polistrumentista, fonico-produttore); Michele Palmieri (chitarra) e molti altri musicisti. Copertina di Alberto Ceschin.
Foto in evidenza: Copertina dell’album “Breve danzò il Novecento”
Fonte: Fabio Dalmasso, Ufficio Stampa di Alberto Cantone