Cubo Gallery presenta, dal 24 febbraio al 14 aprile, negli spazi della Via Bianca, una mostra di ricerca nel mondo della fotografia documentaristica, soprattutto della “Aftermath Photograhy”, ossia la fotografia dell’indomani, delle cicatrici, di quello che è rimasto, o che prima c’era e ora non c’è più, con il progetto di Marco Bottelli dal titolo “Clashes for Palestine” a cura di Paola Paleari.
Una storia narrata fotograficamente, l’essenza di verità celate in una sequenza di biglie, realizzata dal fotoreporter Marco Bottelli, e che parte nel 2014 – lo stesso anno in cui Marco ha raccolto, nel quartiere di Shu’afat a Gerusalemme est, le biglie che ha poi fotografato e che vedremo esposte fino al 14 aprile.
Il progetto prende il suo avvio a seguito di un grave evento: “La mattina del 2 luglio 2014, un giovane palestinese di 14 anni Mohammad Abu Khdeir, di Shu’afat, un quartiere di Gerusalemme Est, è stato rapito ed ucciso da alcuni estremisti israeliani. La brutale uccisione è avvenuta in seguito al rapimento ed uccisione di tre giovani israeliani in West Bank, nell’area tra Betlemme ed Hebron. Sono seguiti violenti scontri tra giovani palestinesi di Shu’afat e le forze di polizia israeliane che sono proseguiti per alcuni giorni. Questi fatti hanno contribuito ad aumentare la tensione fra israeliani e palestinesi sfociata poi nella guerra di Gaza conosciuta come operazione “ Protective Edge” lanciata l’8 Luglio 2014 e conclusasi il successivo 26 Agosto”.
Le biglie sono state raccolte a Shu’afat la mattina del 3 luglio 2014.
Come spiega Paola Paleari, curatrice della mostra e del saggio critico ”Il lavoro di Marco Bottelli si inserisce nella corrente “Aftermath Photograhy” con eleganza e consapevolezza. Marco è un fotoreporter a tutti gli effetti: ha viaggiato in Est Europa, Africa e Sud America, ha vissuto per anni in Pakistan e poi a Gerusalemme. Qui, Marco ha visto il male nella sua tremenda e sconvolgente potenza, e ha documentato molti degli eventi tragici che colpiscono queste terre. Eppure, nei suoi progetti personali, nulla di questo male è reso evidente. Gli elementi scioccanti e traumatici cedono il posto ai toni minori, ai dettagli quasi mondani, che si prestano alla lettura in tutta la loro sobrietà. Osservando per esempio il progetto Clashes for Palestine, cosa vediamo? Semplicemente, una sequenza di biglie: tante piccole sfere di vetro dai colori variegati che si stagliano su sfondo nero, lucide e imperfette. A ciascuna è dedicata un’immagine, perché ognuna è un pianeta in miniatura; all’apparenza innocuo, in realtà legato a una storia di sangue e violenza tra popoli che da decenni non risparmia nemmeno i ragazzini”.
Il soggetto della biglia nella sequenza di fotografie esposte trasferisce all’osservatore un grande significato sociale, che travalica il tempo e lo spazio in cui si trova. Mostrandoci la bellezza dell’oggetto, insieme di luce e colore, ci svela invece un’altra realtà, come una lente d’ingrandimento si fa essa stessa protagonista, strumento e soggetto dal duplice significato: quello universale, ovvero messaggero di una “storia” drammatica a cui siamo impotenti spettatori; e messaggero nel mondo, attraverso un elemento che diversamente dalla sua natura, diventa elemento di un conflitto bellico (le biglie sono spesso usate come proiettili da fionda dai palestinesi durante gli scontri con le forze di sicurezza israeliane).
Come spiega la curatrice: “Queste immagini operano una elaborazione del conflitto e ci restituiscono un documento da completare, da integrare attraverso la nostra interpretazione. Ciò ha una duplice ricaduta sulla ricezione del documento stesso e del suo messaggio: da una parte, viene richiesto e ottenuto un maggior livello di coinvolgimento attivo dello spettatore; dall’altro, viene evitato l’effetto di rifiuto – oppure, peggio, di indifferenza – che molto dell’immaginario bellico può suscitare in caso di eccessiva ostentazione”.
La centralità del lavoro fotografico di Marco Bottelli si basa dunque non più sul ruolo di fotoreporter- testimone di quanto accade, ma pone una nuova riflessione verso la materialità delle tracce e sul significato storico, emotivo e psicologico della loro rappresentazione.
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Marco Bottelli nasce a Fiorenzuola d’Arda nel 1978. Nel 2000 si iscrive al corso biennale di Fotografia Professionale presso l’Istituto Italiano di Fotografia a Milano. Dopo il diploma lavora come assistente presso uno studio di fotografia pubblicitaria e comincia a viaggiare in Bosnia e Romania con la Ong “Fiorenzuola oltre i confini”.
Nel 2004 comincia la sua carriera professionale come fotografo di arredamento e still life a cui accompagna un interesse sempre maggiore nei confronti del fotoreportage che lo porta a viaggiare in Africa e Sud America in collaborazione con alcune Ong italiane quali Cesvi e Acra. Dall’Ottobre 2009 vive in Pakistan dove rimarrà fino a Marzo 2011. In Pakistan focalizza il proprio lavoro sulle condizioni socio-politiche del paese e collabora con diverse Organizzazioni Internazionali durante le inondazioni del 2010.
Nel 2012 si sposta a Gerusalemme fino al 2015 e comincia a collaborare con Corbis, lavorando principalmente come fotografo di news.Il suo lavoro è stato pubblicato, tra gli altri, su Burn Magazine, Time, The Guardian, The Telegraph, The Wall Street Journal, Vanity Fair, L’Espresso, Panorama e Internazionale.
Attualmente vive in Italia ed affianca alla sua attività professionale, realizzazioni di personali in ambito della fotografia documentaristica per finalità espositive.
Fonte: Ufficio Stampa Sonia Press