Recitare una parte o limitarsi ad applaudire?
La vita dura il tempo di una rappresentazione. Dura il tempo di un respiro, dura fino al consumarsi dell’aria.
Si recita a copione o improvvisando, ciò malgrado, il regista è lui a decidere se la commedia avrà uno o più tempi e se il finale sarà glorioso o indegno.
Un atto di ribellione inizia con l’avvertire il bisogno di “cominciare a vivere”.
Interrogarsi senza la necessità di darsi una risposta. Le pulsioni di vita e morte si legano a un’indagine continua, occorre azzardare giustificazioni per stare al mondo. La quotidianità ripetitiva anestetizza dubbi, i tempi dell’inattività motoria sono una sorta di grande parcheggio dove alla guida della tua macchina aspetti che si liberi uno spazio per passare da una attesa a un movimento ultimo che porta all’immobilità.
Il nascere, il passare dopo un periodo di attese e interrogativi a una condizione non dipendente dalla nostra volontà, fanno apparire il tutto come un incidente fortuito e rassegnatamente naturale. L’atto più coraggioso che un uomo possa compiere e quella di porsi la domanda fondamentale sul perché della sua esistenza, vivere non è solo normale istinto è anche convivere con la paura di affrontare un non escludibile niente. Avere sentimenti religiosi sterilizza le paure e insieme ad altre inevitabili domande crea curiosità e aspettative che vanno al di la di un tempo convenzionale.
Per chi non vuole vivere di esercizi filosofici sui perché, consuma buona parte della propria esistenza senza riflettere sul significato del proprio esserci. Osservo i tanti indaffarati, scorgo nell’incrociare dei nostri sguardi il timore che gli venga chiesto se sanno perché sono tanto occupati. Corrono per fare quello che fanno, temono probabilmente che il rallentare possa fargli acquistare brevi attimi di lucidità, inevitabili poi domande che genererebbero altre domande sul se vale la pena di vivere in quella frenetica maniera. Accontentarsi di vivere una vita a metà cercando di sopravvivere all’ansia del successo, dell’arricchimento e di potere che griffati “maestri” hanno elevato a “senso della vita”.
Forse gli uomini più felici sono quelli che hanno la consapevole consapevolezza che certe domande portano unicamente a una sorta di cortocircuito, il domani arriva lo stesso sia che uno sia “filosofo” sia che sia prudentemente “attendista”, una cosa è certa ed è che non si può vivere senza speranza, tutti abbiamo bisogno di credere in qualcosa sia anche e solo semplicemente una storia inventata come ci piaceva da bambini.
Dubbi e ancora dubbi, miei compagni di viaggio. Aspetto senza troppa fretta e curiosità e nel frattempo provo a dare un senso a ciò che un senso non c’è l’ha. Nelle lunghe conversazioni tra me e me sono riuscito a far venire i dubbi anche ai dubbi.
“La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre” (Yukio Mishima, scritto prima del suicidio rituale dei Samurai).