“E’ venerdì, volata anche questa settimana”. Constatazione originale mi dico e aggiungo: “credo nessuno abbia mai pronunciato una frase tanto carica di non significato”.
L’accelerazione temporale porta a divorare anche il sabato e la domenica per poi ritrovarti al punto di partenza al lunedì mattina, con la frenesia che passi in fretta la settimana per poter ripetere “è venerdì, volata anche questa settimana”.
Il tragico è che non giocando al lotto, non rischiando in oramai inesistenti speculazioni borsistiche, avendo una idea della politica come servizio e non a se stesso, l’unica cosa in cui speri rifugiandoti nel tuo essere borghese piccolo piccolo è che le cose non peggiorino perché a migliorarle ci hai provato, tutte le volte arrivando a giustificare a te stesso il non risultato con il motivetto:” lo sai che i papaveri son alti,alti,alti e tu sei piccolina sei nata paperina che cosa ci vuoi far…”; rassegnazione? diserzione?
No! solo salvifica auto ironia.
Poi, mi chiedo, di cosa mi lamento? Senza spendere cifre da capogiro ogni mattina c’è chi mi aiuta a evitare gli eccessi, sono le tante mani tese di chi ha fatto dell’accattonaggio o della esposizione della propria miserevole condizione di vita un mestiere. Entro nell’androne della metropolitana e incontro i primi dipendenti dalla carità; parte il primo euro, ma si mi dico rinunciamo al caffè, in metro saltimbanchi, storpi di professione, zingare con bambini o fagotti con finti pupi in braccio riescono ancora oggi a intenerirmi, in fondo chi sono io per giudicare.
Fuori dalla metropolitana per strada cambia il genere ma la richiesta di aiuto rimane ed è cosi che saltato il caffè, la brioche e poi la spremuta di mezza mattina, io conquisto una qualche indulgenza celeste e mi illudo di perdere un po di girovita.
Non mi disturbano i poveri, veri o di mestiere, mi infastidiscono di più quelli che credono di risolvere o mitigare i problema semplicemente imponendo un termine diverso per identificare categorie umane marginalizzate per scelta o per auto ghettizzazione senza che nella sostanza nulla cambi, dire “donna rom” al posto di “zingara” è a mio avviso molto più razzista; “zingara” possiede una potenza poetica e romantica evidentemente inattingibile per quelli che credono di migliorare le cose solo cambiandone il nome.
Quello di cambiare il nome ai luoghi e ai paesaggi della mente, attingendo da una memoria tenuta li da parte esattamente come una sigaretta chiusa in una teca di vetro su cui chi ha deciso di smettere di fumare ha scritto “rompere in caso di necessità” mi porta alle lunghe passeggiate domenicali in città, a Milano.
Strade, stradoni e grandi piazze? No, vicoli e stradine storte che puoi percorrere cercando quei luoghi antichi, che pure in città continuano a sopravvivere anche grazie a un ripensamento e rivalutazione paesaggistiche, archeologica di un mondo antico a testimonianza di un tempo in cui il tempo aveva un valore diverso. Cammino lentamente tra i vicoli che si trovano nelle vicinanze del naviglio grande, penso “oggi è domenica e domani lunedì”, anche su questo, per fare questa pensata potevo starmene comodamente sul divano di casa. Poi ci ripenso, non è una semplice banalità ma la constatazione che il tempo dell’ozio ha un orologio e un calendario fatto di giorni liberi e altri di semplice ripetitività.
Cammino, ho le mani che si tengono dietro la schiena, un po’ come quando da bambino passeggiavo con mio padre e ne imitavo la postura, lui era silenzioso e io provavo a catturarne i pensieri. Sono sbalzato in un’altra epoca, la mia mente ha lanciato messaggi sensoriali e come d’incanto ho percepito l’odore delle domeniche al paese, inebriato dal profumo di polpette fritte che si sprigionava da quelle case del borgo antico così storte eppure così perfette e l’odore di panni appena lavati e stesi da quelle donne in ciabatte rigorosamente estive. Allora percorrevo quelle stradine per andare incontro al mare, rimandi all’incantato dalla magia di quei momenti tra la melodia del mare e delle musiche antiche che provenivano da quelle vecchie case, uno sguardo alle porte aperte dove intravedevi quei canovacci ricamati a mano, che forse non vendono più, che in qualsiasi altro contesto risulterebbero fuori luogo, ma lì no!
Cammino, qui la sirena sull’antica torre “maestra” non suonerà a mezzogiorno, devo alzare il passo, oggi è domenica a casa ho ospiti e il “grattino” della sosta è già scaduto da cinque minuti.
Domani è lunedì, la settimana che mi attende non sarà poi lunghissima, arriverà un altro sabato e poi una domenica da riempire che passerà in fretta con la preoccupazione che il giorno dopo sarà ancora lunedì.
Promesso, il prossimo fine settimana sarà diverso.