Ebenezer Scrooge, nato dalla penna di Charles Dickens nel racconto “Canto di Natale” del 1843, è il personaggio principale, avaro e con un cuore di ghiaccio, noto per disprezzare il Natale che considera solo una perdita di tempo (poi durante lo svolgimento della storia avrà un cambiamento di modi e di pensiero…).
Purtroppo tocca constare che mister Scrooge è ancora tra noi, e pure con qualche motivazione in più rispetto al personaggio di Dickens.
Insomma mi pare di capire che oggi il Natale costituisca un problema, a cominciare dal nome, tanto che per non urtare suscettibilità di chi non ha fede o non ha quella fede, si è proposto di chiamarlo festa d’inverno.
I problemi pratici iniziano a porsi da circa un mese prima. Uno pensa magari all’Avvento, alla novena, alle prove dei canti natalizi, macchè!, tutta una serie di adempimenti iniziano a delinearsi creando ansia, occupando tempo e richiedendo una pianificazione con strategia militare circa la partecipazione a eventi prenatalizi di saluto e augurio: cene, aperitivi, lotterie, feste sociali, recite dei figli, ecc.
Il risultato è che il tempo è poco, non si riesce a creare incastri, tutti si seccano, vanno di malavoglia, fanno delle scelte di partecipazione e… magari tirano pure il bidone all’ultimo momento (indifferenti al fatto che magari sono state fatte prenotazioni, anticipate spese, occupati posti).
Senza contare il capitolo regali: una tragedia, altro che una gioia o il dedicare tempo a qualcuno per intuirne i bisogni o le aspettative! Ansia dell’ultimo momento e di non dimenticare nessuno. I potenziali destinatari del resto hanno già tutto e non si riesce più a stupirli. Sulle aspettative mediamente si sbaglia e i doni rimarranno malinconicamente abbandonati da qualche parte, nonostante internet ci metta a disposizione siti con ogni tipo di consiglio, corredati anche da suggerimenti con le idee più strambe per persone originali e attente al “galateo dei regali”.
Nella migliore delle ipotesi i doni natalizi danno una gratifica ai dipendenti aziendali (quando non li snobbano perché i pacchi sono sempre uguali e stantii) o servono a disobbligarsi per qualche cortesia ricevuta (ma anche questa abitudine legata all’educazione va perdendosi), ma il senso dell’obbligo e della formalità tolgono valore a quello che era in origine lo spirito del dono natalizio.
Aggiungiamo pure lo stress degli auguri: venuto meno il biglietto manoscritto mandato pure in America che, per la laboriosità dell’impegno richiedeva anche una selezione dei destinatari, si ci rifà con i social postando auguri pubblici, massivi, freddi, generici, standard pur nella loro luminosità coreografica, perdendo così di vista le singole persone.
I pochi biglietti aziendali in circolazione risultano freddi, con firma illeggibile, di chi non ha niente di meglio da fare, pura formalità, che si traduce in perdita di tempo per chi scrive e per chi riceve e cestina (se non è proprio obbligato…). La tecnologia annulla l’incontro personale.
Ormai vedo solo una festa civile, un natale di plastica.
Non ha neppure senso citare quel contesto di Natali malinconici, bambini buoni, babbi poveri, astri del ciel, fiocchi di neve, stelle comete, ecc..
Il presepe, che da piccoli richiedeva ingegno e si contavano i giorni per iniziarlo, non viene più fatto, ci si accontenta di quello dei centri commerciali che richiama solo il consumismo e appanna le antiche tradizioni,
Rimane un po’ del Natale dell’infanzia, allora magico, carico di bontà, che stimolava la riflessione e spingeva all’incontro disinteressato e caloroso con amici e familiari. Ma lo stress dei regali e dei wats app a cui rispondere lo annulla. Se poi si aggiunge il timore dei furti nelle portinerie degli stabili, dove si sa che giace qualche pacco dono, – pure questo si sono inventati! – l’esasperazione è massima.
Al pranzo di famiglia di sostituisce quello al ristorante o, per chi può, la vacanza esotica, forse per sottrarsi a un sistema che stritola o per approfittare di qualche giorno libero.
Tolto l’aspetto religioso del Salvatore che nasce, rimane solo un adempimento sociale.
Tolta la magia del Natale, i ricordi, l’innocenza, i pranzi familiari, la messa di mezzanotte, restano gli adempimenti a cui non è possibile sottrarsi, il consumismo all’eccesso, il mercato che domina, i valori di serenità, semplicità, bontà che vanno perduti.
Si arriva con l’acqua alla gola. E pensare che la tecnologia può risultare utile a raggiungere chi non si sente da tempo, e che forse si sente dimenticato da tutti.
Allora vengono fuori quelli che odiano il Natale, ridotto a consumi inutili, adempimenti noiosi, vuoti e ipocriti, fastidi, formalità, cose che bisogna fare per forza anche se non se ne ha voglia.
Senza magia, senza malinconia, senza sorprese, senza un’attesa e una speranza.
Il Natale non serve più a ricucire strappi, a riprendere relazioni sfilacciate, ad allietare cuori tristi, ad allontanare la solitudine, a rileggere fiabe dell’infanzia per commuoversi ancora o vedere un film che scalda il cuore.
Dovrebbero di nuovo tornare i fantasmi dei Natali per addolcire il nostro animo e riportarlo su binari più umani, proprio come accadde al nostro mister Scrooge.