Uno degli effetti più coinvolgenti del film, diretto magistralmente dai giovanissimi Fabio&Fabio Guaglione e Resinaro del Sud Milano, è che lo spettatore resta inchiodato per tutta la durata, 106 minuti, come se fosse lui su quella mina calpestata per caso, durante la fuga nel deserto.
Non si muove e si fa condurre in una incursione nella memoria, nello scavo interiore che compie il soldato Mike, straordinariamente interpretato da Armie Hammer. L’immensità del deserto si restringe in quella posizione statica, drammaticamente inusuale, del piede che comprime la terra in cui è stata piantata una mina, in un campo disseminato di ordigni di guerra come ce ne sono tanti dispersi per ogni dove nel mondo inquieto e turbato da eventi bellici.
Un marine in missione, un cecchino, e un suo commilitone, appollaiati su una roccia nell’attesa che arrivi il convoglio su cui viaggia il ricercato capo dei terroristi, dall’alto del roccione dominano la valle sottostante. Una carovana giunge dalla parte opposta, conduce la sposa. Si incontrano con il convoglio, si preparano a celebrare il matrimonio. Mike è lì pronto con il fucile di precisione, è sollecitato a sparare dal suo compagno e dalla radio che gracchia ordini perentori, ma lui non schiaccia il grilletto, non vuole macchiare l’unione e poi si capisce perché. Un barlume di umanità, un desiderio infranto che lo riguarda.
E comincia il ricordo, la sua fuga dalla amata Jenny. Uno scandaglio che lo attraverserà profondamente fin dalla fanciullezza. Non spara, allontana l’arma ma il barbaglio della canna li tradisce. Scappano, inseguiti, e finiscono in un campo di mine. Mike procede a rilento, circospetto come è nella vita. Mette il piede su una forma metallica circolare, deve essere una mina. Si ferma.
Invece Tommy, amico e commilitone, è spavaldo, non si cura del pericolo e procede, saltando in aria.
Inizia a questo punto la disperazione e la resistenza di Mike, che si interroga sulla sua esistenza, sui rapporti difficili con il padre, sull’amore per la madre e sull’ultimo saluto in ospedale, sempre premurosa e incoraggiante. L’incontro con Jenny, burrascoso, la fuga. Chi è Mike, si chiede, ora che è giunto all’ultima tappa della sua vita? Fermo, immobile, senza acqua e cibo, preda delle iene.
Lo sovviene un tuareg, abitante del posto che procede a zig zag tra le mine, non perché ne conosca la disposizione ma come principio di vita. Lo interroga sulla libertà dell’uomo e sulle costrizioni, sulle regole e sui doveri, sulla necessità e sulla assurdità della guerra. Lo scavo interiore sconvolge Mike e allo stesso tempo lo rafforza. Raccoglie le indicazioni del tuareg-filosofo: ‘Vai avanti, se sai dove andare…’ L’immobilità del marine si trasforma in movimento psicologico, quella sua fissità diventa occasione di procedere nel tempo della sua vita e fare chiarezza mettendosi in pace con se stesso. I soccorsi tardano e la colonna è impegnata in scontri con i terroristi. Deve resistere e non farsi dominare dalla disperazione, sconfiggere le paure, conquistare la pienezza di sé, in uno spazio infinito desertico, nel deserto del suo cuore.
E’ questa la sfida. E Mike si prepara ad affrontarla, si dispone a vincerla confidando sul coraggio della sopravvivenza…