“C’era una generosità civile nella scuola pubblica, gratuita che permetteva a uno come me di imparare. Ci ero cresciuto dentro e non mi accorgevo dello sforzo di una società per mettere in pratica il compito. L’istruzione dava importanza a noi poveri. I ricchi si sarebbero istruiti comunque. La scuola dava peso a chi non ne aveva, faceva uguaglianza. Non aboliva la miseria, e però tra le sue mura permetteva il pari. Il dispari cominciava fuori.” Erri De Luca
Sogni e speranze, disincanto e accettazione: i poli opposti che delimitano la dimensione dell’adolescenza in una periferia palermitana, sullo sfondo dell’attualissimo e drammatico problema dell’abbandono scolastico. L’ultimo anno delle medie per quattro ragazzi di Palermo è dominato dal cambiamento e dall’incertezza. Il quartiere dove vivono è una gabbia ma a tredici anni la vita è un’avventura da attraversare. Tra la scuola e il lavoro, i primi amori e la famiglia, Daniel, Morena, Desirée e Simone si affacciano all’adolescenza andando in cerca della loro strada.
È La nostra strada, il nuovo film – ancora work in progress e dal titolo provvisorio – del regista e documentarista Pierfrancesco Li Donni, in programma il 26 ottobre ad Alice nella città, la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma dedicata alle giovani generazioni. La pellicola è prodotta da Ladoc con il contributo di Siae – Dalla parte di chi crea e con il sostegno della Sicilia Film Commission nell’ambito del progetto Sensi Contemporanei.
A 4 anni di distanza da Loro di Napoli (vincitore come miglior film italiano al Festival dei Popoli, del premio Télérama al FIPA di Biarritz e del Docs MX di Città del Messico), il regista palermitano rimette al centro del proprio sguardo un’altra periferia, questa volta quella palermitana, attraverso il “pedinamento zavattiniano” di alcuni adolescenti che abitano il quartiere Zisa, durante il loro ultimo anno alle scuole medie inferiori. Un anno di passaggio, dominato dal cambiamento e dall’incertezza, in cui i ragazzi si affacciano all’adolescenza andando in cerca della loro strada, in un quartiere popolare dove la disoccupazione tocca punte del 50%, la dispersione scolastica raggiunge picchi dell’8% e dove molti dei loro coetanei lasciano gli studi una volta raggiunta l’età dell’obbligo scolastico.
Nel solco dell’attenzione verso gli invisibili che segna tanto cinema di Ken Loach, dei fratelli Dardenne, di Leonardo Di Costanzo Li Donni riesce a dare voce con grande sensibilità a un universo troppo spesso schiacciato dalle narrazioni legate alla mafia e alla cronaca nera e che, invece, produce un immaginario che, nelle sue estensioni più profonde, si ricongiunge a quello di tutte le città, di tutte le periferie, di tutti i conflitti. Con piglio dickensiano, il regista indaga volti e mestieri, restituisce vita e identità a ciò che normalmente consideriamo numeri e statistiche, e racconta il quartiere Zisa nella sua reale complessità: un microcosmo a tratti surreale in cui, fra palazzi dei primi del 900 mai restaurati e balconi intasati da antenne paraboliche, si aprono campi di allevamento di pecore e cavalli, e in cui si può ancora consumare l’arcaico rituale, illegale ma tollerato, della “vampata” di San Giuseppe.
Il regista parte dal mondo della scuola e dalle lezioni del professor Mannara–ogni mattina prova a scuotere i suoi studenti e a dare loro nuovi stimoli, inventando lezioni aperte e partecipate, che più che lezioni di italiano sono lezioni di vita – per raccontare storie di singoli, entrando nelle loro case abitate da famiglie troppo impegnate a tirare avanti per dare le giuste attenzioni ai propri ragazzi. È il quotidiano di adolescenti stretti fra la necessità di sognare fughe dal quartiere e di costruire un futuro migliore e l’accettazione cinica di un destino già segnato, in cui, a volte, il sogno viene mortificato prima ancora di prendere forma. Una sorta di “romanzo di formazione” in cui però questi poco più che bambini spesso ragionano già da adulti, in un quartiere che detiene il record cittadino di minori segnalati per reati, dove la scuola viene vissuta dalla maggior parte di adulti e ragazzi come un impedimento al lavoro. Una realtà lacerata dall’odio di classe e dalla crisi economica che rende fragile il diritto allo studio e non riesce ad arginare il lavoro minorile. Dove, come lo stesso autore di Inchiesta a Palermo Danilo Dolci dichiarava decenni fa “ciascuno cresce solo se sognato”. E dove, nonostante Dolci, ancora oggi i bambini della Zisa non sono stati sognati abbastanza.
Pierfrancesco Li Donni esordisce alla regia nel 2012 con il documentario Il Secondo Tempo e l’anno dopo realizza il corto documentario Sempre Vivi: entrambi raccontano gli anni delle stragi di mafia a Palermo. Loro di Napoli (2015), il suo secondo lungometraggio documentario, è vincitore del miglior film italiano al Festival dei Popoli, del premio Télérama al FIPA di Biarritz, del Docs MX di Città del Messico). In seguito, realizza il film breve Massimino (Premio Zavattini 2017). Come filmmaker ha collaborato con Repubblica Tv e realizzato spot pubblicitari per Rai per il Sociale e Fox4dev. Insegna filmmaking in corsi di formazione professionali. È tutor didattico del corso di regia del documentario al Centro Sperimentale di Cinematografia-Sede Sicilia.
Fonte: GDG Press