Il “dado è tratto”, senza nessuna esitazione la Turchia ha lanciato l’Operazione “Fonte di pace”, passato i confini con la Siria ed invaso la regione.
Come ci ricorda Lucio Caracciolo su Limes, per Erdogan questa operazione “non è un’invasione di un paese straniero. È polizia domestica. La carta mentale del presidente-sultano resta quella del Patto Nazionale, varato il 2 febbraio 1920 dall’ultimo parlamento ottomano. Quella Grande Turchia che comprende un’ampia fascia di territorio formalmente siriano e iracheno, lungo la direttrice Aleppo-Mosul-Arbil-Kirkuk. Il Kurdistan siriano e quello iracheno”. Tutto programmato, si aspettava solo l’occasione propizia.
Il pretesto avanzato per lanciare l’attacco nella regione è stato l’impellente esigenza di ricollocarvi almeno una parte dei quasi quattro milioni di profughi siriani, eredità della precedente crisi, che sono ancora ospitati in Turchia. Il pacchetto profughi oramai famoso che era servito a Erdogan per ottenere fondi europei dalla Merkel nella crisi migratoria del 2015 e che ora, viste le nuove posizioni europee in tema di immigrazione, meno generose, non gli serve più.
Ed allora in questo contesto non destano sorpresa le tranquille dichiarazioni di Erdogan, un Capo di Stato che sa di non avere opposizione interna ma soprattutto un leader islamico che ha accuratamente preparato da tempo questa invasione, probabilmente con il consenso di USA e Russia che ora sommessamente lo condannano minacciando sanzioni.
Sommessamente certo, se Recep Tayyip Erdogan si è permesso, meno di una settimana dopo l’inizio dell’offensiva, di respingere platealmente e categoricamente con una dichiarazione al quotidiano Hurriyet la proposta americana di un cessate il fuoco a partire da martedì 15 ottobre.
“La Turchia non accetterà mai un cessate il fuoco prima di aver raggiunto i suoi obiettivi”.
Ed ha anche dimostrato di non temere l’ingresso dell’esercito siriano a Manbij affermando che esso “non ha rappresentato uno sviluppo molto negativo per la Turchia in quanto la regione è oramai svuotata dai combattenti siriani curdi. In altre parole, “….quello che mi serviva in termini di conquista me lo sono già assicurato”.
Sul fronte delle dure sanzioni annunciate da Stati Uniti ed Europa, ha dichiarato altresì: “Non siamo preoccupati per le sanzioni”.
Risultato finale. L’operazione non è certo nata dal nulla. Attentamente preparata con accordi tra le superpotenze e la Turchia, ha consentito alla Turchia di blindare il suo confine meridionale e di riassumere il controllo della regione siriana a sud dei suoi confini. Obiettivo raggiunto, il consolidamento è in atto.
La stessa questione della sospensione delle forniture militari alla Turchia, da tante parti urlata e pretesa, non appare credibile. In materia di armamenti quello che serviva era ovviamente già stato approvvigionato e stoccato nei magazzini per cui non ci sono verosimilmente forniture da bloccare. Per i contratti futuri la Turchia potrà rivolgersi ad altri fornitori. Cina e India sono oggi al top per tecnologie e qualità. La Russia è già nazione fornitrice della Turchia in barba alla NATO.
Ed allora tra qualche settimana tutte le “abbaiate” occidentali rientreranno nei ranghi, Merkel, Macron per l’UE e tutti gli sherpa-leader europei che si sono accodati torneranno a più miti consigli.
Tutto come era previsto. Resta l’amarezza per la crisi umanitaria che, già molto grave, si sta facendo gravissima. L’avanzata delle truppe di Ankara e dei loro sostenitori, nonché il ritorno del regime siriano, hanno costretto le ONG internazionali a lasciare la regione, abbandonando le popolazioni ai rischi del conflitto.
Con l’offensiva turca, i combattimenti disperati intrapresi contro di essa dall’FDS (Forze democratiche Siriane considerate da Ankara terroristi come il più noto movimento PKK turco), la rinascita dell’organizzazione dello Stato islamico (IS) e lo spiegamento militare del regime siriano, la regione è nuovamente precipitata nel caos. Si teme una grave crisi umanitaria a cui le organizzazioni non governative (ONG) non sono più in grado di rispondere. Secondo fonti dell’amministrazione curda tutte le ONG internazionali hanno interrotto le loro attività.
Da giovedì, i posti di frontiera tra Siria e Iraq, situati sulle rive del Tigri, sono stati presi d’assalto. Una dopo l’altra, le ONG internazionali hanno ritirato il loro personale come riferisce il Forum regionale siriano, che riunisce 73 ONG attive nel paese.
Ancora una volta nella loro travagliata storia i curdi piangono la fine del loro sogno di autonomia e indipendenza. Per di più la crisi siriana, oramai quasi decennale, si è aggravata e il mondo dovrà farsi carico di questo ulteriore disastro umanitario che si prospetta grave e incontrollabile.