Negli anni Settanta esisteva la cosiddetta messa dei fanciulli che si celebra anche ora, e tuttavia in quegli anni sollecitava tutta una serie di emozioni che andavano oltre la spiritualità che avrebbe dovuto ispirare.
Innanzitutto non era collocata a metà mattina, ma piuttosto presto, tanto che – rispetto ai ritmi della settimana scolastica – non consentiva di alzarsi troppo tardi, ma concedeva giusto quell’ora in più di sonno rispetto all’ordinario, che poi era utilizzata per una toilette più accurata che i tempi mattutini scolastici non consentivano.
Ovviamente era richiesta la puntualità, sulla quale vigilava la catechista, anzi era preferibile arrivare prima per provare oppure imparare i canti della celebrazione, un po’ più vivaci rispetto a quelli delle funzioni ordinarie dove le buone vecchiette di scuola preconciliare lodavano Dio con inni legati alla devozione dei loro tempi.
In chiesa i banchi erano divisi tra bambini e bambine, ed era preferibile condividere la panca con gli amichetti di scuola, di catechismo o vicini di casa, con i quali si poteva fare la strada insieme.
Non si era consapevoli ma quell’ora in compagnia serviva a fare comunione anche con gli amici, oltre che con il Signore.
Quando si diventava più grandicelli, e si era già fatta la prima comunione, si poteva servire all’altare, indossando l’apposita tunichetta, e si potevano leggere dall’ambone le letture e le preghiere dei fedeli o passare per le offerte con il cestino di vimini. Era un compito non proprio per timidoni, ma allora – piuttosto che finalizzato a rendere lode al Signore – era un modo per attirare l’attenzione delle ragazzine presenti.
La chiesa diventava un modo per vedere, a scopo di socializzazione, le ragazzine che di domenica venivano più curate, poiché la messa era anche una occasione sociale (le mamme nella messa serale potevano sfoggiare le pellicce e le figlie la mattina qualche vestitino carino, che a scuola non sarebbe stato possibile indossare).
Anche le festicciole casalinghe di compleanno erano per soli fanciulli e sole fanciulle, non c’era “contaminazione”. E quando ci si recava per la predetta festicciola le uniche presenze femminili erano la mamma, l’immancabile nonna e qualche zia. Andava bene se c’era qualche sorella più grande (e se magari in casa era – inavvertitamente – più in déshabillé, la festa restava maggiormente impressa nella memoria …).
Tornando alla messa, il momento di socializzazione era proprio al termine del rito quando, dopo il canto finale, si usciva e, dato che l’ora lo consentiva e il clima anche (tranne in estate in cui era prioritario andare al mare), ci si recava in villa per la consueta passeggiata della domenica, luogo di ammiccamenti, conoscenze e sfoggio degli abiti “buoni”.
Di fatto, escludendo la scuola per ovvi motivi, la socializzazione in quegli anni passava attraverso la parrocchia. Quindi la chiesa e gli ambienti parrocchiali erano fonte principale di approccio con l’altro sesso. I primi amori sono nati in quegli ambienti austeri, agevolati dalle riunioni dei gruppi giovanili di Azione Cattolica e favoriti da quei giardinetti annessi alle parrocchie e sovrastati dalla casa delle suore. Ambienti spartani utilizzati per le riunioni o per le prove delle recite di Natale o di Carnevale, altra ghiotta occasione di conoscenza e di qualche timido abbraccio.
Ovviamente era forte il controllo sociale, quello degli amici che sapevano su quale fanciulla era puntato l’interesse e al primo movimento mettevano in difficoltà con battutine e sorrisetti, e l’accusa di “tessere la tela, calare la lenza, fare carte”, espressioni mutuate dai più grandi, che ben rendevano l’idea.
Peraltro era importante rispettare le regole che i genitori davano sugli orari di rientro (Cenerentola insegna …) e compagnie da frequentare o amici da cui farsi riaccompagnare. Il rispetto delle regole era indice del rispetto verso le persone e soprattutto insegnava a coltivare le attese. Il tutto contribuiva a rendere le relazioni romantiche e sognanti.