Dopo 25 anni di “making e remaking”, come si legge ironicamente all’inizio del film, è uscito nella sale il film di Terry Gilliam ispirato alle avventure del personaggio creato dalla penna di Cervantes: “L’uomo che uccise Don Chisciotte”.
Il giovane regista americano Toby Grisoni (Adam Driver) sta cercando di portare a termine in Spagna le riprese di uno spot pubblicitario ispirato alla leggenda di Don Chisciotte. Dieci anni prima Toby aveva girato il suo primo lungometraggio “The Man Who Killed Don Quixote” proprio nella stessa zona del nuovo set, scritturando in loco attori non protagonisti. Un giorno Toby si imbatte nuovamente negli ex protagonisti della pellicola, ognuno segnato profondamente da quell’esperienza. In particolare, un anziano calzolaio (Jonathan Pryce), che aveva interpretato l’Uomo della Mancha, è convinto di essere il vero e unico Don Chisciotte, scambiando Toby per il suo inseparabile Sancho Panza. È l’inizio di un’avventura straordinaria, a cavallo tra realtà e fantasia.
Terry Gilliam porta finalmente a compimento un progetto lungo 25 anni, pieno di disavventure di ogni tipo: problemi con i produttori, cambi di attori e sceneggiatura. Una storia raccontata nel documentario “Lost in La Mancha” del 2002. Si sa poco di cosa sia sopravvissuto del progetto originario, ma si può dire che “L’uomo che uccise Don Chisciotte” non sia altro che un modo originale di parlare di Don Chisciotte e del suo messaggio, al giorno d’oggi, prendendo spunto dalle disavventure vissute in prima persona dal regista stesso per la realizzazione dell’opera. Un modo per esorcizzare quindi questa incredibile via crucis e vendicarsi, in parte, anche dei torti subiti da alcuni produttori pescecani incontrati lungo la strada.
Un racconto metacinematografico in cui Toby non è altro che un alter ego di Gilliam: pressato dalla dura realtà quotidiana fatta di produttori avidi e di delusioni artistiche, ripensa a un film girato da giovane, mosso solo dalla passione per il cinema, per trovare nuovamente l’ispirazione per continuare le riprese dello spot.
Una pellicola in cui si respira per tutta la sua durata l’amore per la Settima arte e l’ossessione da parte del regista Toby/Gilliam per questa figura fantastica e leggendaria di Don Chisciotte. Un sognatore considerato dagli altri un folle, ma che in realtà ha il dono di saper svelare, grazie alla sua purezza d’animo, l’ipocrisia delle altre persone, che indossano delle “maschere”.
L’ultimo lavoro di Gilliam è ancora una volta un viaggio immaginifico, con passaggi continui dal piano della realtà a quello della fantasia attraverso trovate spesso brillanti e visionarie, per regalarci un intrattenimento pirotecnico non privo di riflessioni profonde sul cinema stesso.
I punti di forza del film sono la sua potenza visiva – dalle feste barocche alle lotte contro i mulini a vento –, un marchio distintivo nella filmografia del cineasta statunitense, e la recitazione sopra le righe di Jonathan Pryce (da gustare in lingua originale), già protagonista del capolavoro di Gilliam “Brazil”, capace di passare dal registro comico a quello drammatico nel giro di pochi secondi. Un ruolo che potrebbe portare Pryce a una nomination alla prossima notte degli Oscar.
“L’uomo che uccise Don Chisciotte” non è però privo di difetti, con molti momenti di confusione “anarchica” e una sceneggiatura con non poche faglie.
Gilliam però, come il suo eroe spagnolo, vuole volare ancora una volta in alto e non manca di cuore e coraggio: dopo aver lottato anche lui contro vari mulini a vento e giganti (Hollywood?), è riuscito a realizzare questo film divenuto una vera e propria ossessione. Un regista che si è guadagnato la fama di outsider portando sempre avanti le proprie idee visionarie e che, grazie a questo film, fa quasi commuovere per come ami quella fabbrica dei sogni chiamata cinema.