Se è vero che siamo quello che mangiamo, allora noi italiani siamo un grande popolo.
Il rapporto tra l’uomo e il cibo è oggetto di studio già dagli albori della filosofia. Nell’elaborazione della teoria del piacere, Epicuro s’immagina persone sagge che passano il loro tempo banchettando in campagna e parlando di filosofia. Nel tempo, ciò che rappresenta il cibarsi è rimasta al centro dell’attenzione di studiosi e grandi eruditi. Feuerbach, autore de “Il mistero del sacrificio”, sottotitolò la sua opera non a caso “L’uomo è ciò che mangia”.
Il cibo, o meglio l’attività del cibarsi, è sempre stata considerata una sorta di misura del grado di civiltà raggiunto dalla società. Il sociologo e filosofo tedesco Georg Simmel divide questa attività in due categorie, quella del mangiare quotidiano che serve semplicemente a sostentarsi nella fatica del lavoro e non ha altro valore che questo, e quella vede il cibarsi come un rito sociale attorno ad una tavola imbandita e in compagnia di commensali.
Gli italiani hanno preso molto sul serio questa suddivisione e si adoperano alacremente per far sì che anche il mangiare quotidiano sia quanto più possibile vicino a quel rito sociale che è il “mangiare insieme”.
Bisogna riconoscere che, in questa frenetica attività, noi italiani rispetto a tutti gli altri popoli siamo parecchio avvantaggiati. L’agevolazione è nella qualità del cibo che consumiamo che, per inciso, è una conseguenza del rito sociale. Si esercita il rito del mangiare sempre più spesso insieme pretendendo qualità e si ottiene qualità proprio perché si mangia insieme, in una sorta di gruppo d’acquisto esteso della qualità del cibo. Un circolo virtuoso che ci porta ad essere uno dei paesi nel mondo dove si mangia meglio.
Grandi e famosi chef tengono alta la bandiera, ma un esercito di chef non stellati, di bravissimi cuochi e di ottimi cucinieri, e perchè no anche tante care nonnine che in fatto di cucina la sanno veramente lunga, è il nerbo attorno al quale l’arte della cucina, corroborata dagli eccellenti produttori di materia prima di qualità, trova la sua massima espressione.
Il buon cibo italiano è divenuto uno dei pilastri dell’economia del paese che contribuisce notevolmente, insieme al patrimonio storico/architettonico e artistico, al successo del comparto turistico.
L’esperienza diretta di ognuno di noi può essere un pozzo senza fondo di esempi di ottima cucina italiana. Non esiste regione italiana che non annoveri una ricca cucina tipica.
Spesso, quasi sempre, magari senza accorgercene, quando descriviamo un luogo visitato riportiamo anche l’impressione che abbiamo avuto di ciò che lì abbiamo mangiato.
Così è facile sentire l’amico raccontarci di avere vitato Firenze e aver visto la Piazza dei Miracoli, il David di Donatello, la Galleria degli Uffizi e … quel ristorante a pochi passi dalla Basilica di Santa Croce, o di aver visitato Roma e visto il Colosseo, la Piazza di Spagna, la Piazza San Pietro e … quella trattoria proprio dietro la Fontana di Trevi, o ancora, essere stato a Palermo e visitato la Cattedrale, il Palazzo dei Normanni con la Cappella Palatina e … quel ristorantino nascosto nel vicolo di fronte il Teatro Massimo.
E gli esempi potrebbero continuare all’infinito.
Personalmente, quando sono in viaggio, l’attenzione per il cibo è massima. Massima è la preoccupazione quando sono all’estero, per scoprire poi che l’ottima cena servita sulle dune del deserto egiziano era stata preparata da un “toscanaccio” che risponde al nome di Luca, dal linguaggio tanto colorito quanto fine è invece la sua cucina.
Decisamente meno apprensione manifesto quando sono in viaggio in Italia, dove si può anche incorrere in un “incidente” culinario, ma è un caso raro.
In Italia la qualità del cibo è assolutamente ottima persino nella cucina di massa. Così non ci stupisce di trovarci a mangiar bene anche nei villaggi turistici, nei resort, e perfino nelle feste di paese o rionali.
Per fare un esempio, la mia ultima settimana di vacanza dello scorso mese di giungo è stata l’ennesima conferma di questa convinzione.
Nonostante la gran quantità di persone da sfamare (la struttura ricettiva ne può ospitare fino a 1300), la qualità del cibo somministrato al Garden Toscana Resort di San Vincenzo era ottima e, come sempre in queste occasioni, mi sono accertato di chi fosse il merito.
Così, alla mia richiesta di conoscere lo chef, mi sono ritrovato davanti il mio conterraneo Leonardo Giunta, di cui avevo avuto modo di apprezzare la cucina in almeno altre due occasioni, sempre in Toscana, già cinque e due anni fa.
Con la sua squadra di giovani cuochi palermitani Leonardo riesce a lasciare un ricordo indelebile della vacanza fatto di colori, odori e sapori mediterranei.
Di fronte ad un’opera d’arte rimaniamo spesso stupiti e ci chiediamo: ma come ha fatto l’artista a concepirla e realizzarla? Un mistero!
Come faccia Leo a realizzare i suoi apprezzatissimi piatti in quella quantità è un mistero. Passione, professionalità, esperienza, sono sicuramente fattori determinanti per questo successo, ma non dobbiamo trascurarne un altro assolutamente indispensabile: l’arte.
E già, perché non dobbiamo dimenticare che cucinare è un’arte, e come tale è normale che sia avvolta nel mistero.