A vent’anni dalla morte di Bettino Craxi, leader del Partito Socialista Italiano e forse l’ultimo vero statista del nostro Paese (almeno per quanto riguarda la difesa di una politica estera italiana autonoma), Gianni Amelio realizza “Hammamet”, un’opera coraggiosa che racconta gli ultimi sei mesi di vita di Craxi nella sua villa tunisina, con l’intento dichiarato di non proporre alcun giudizio storico o politico sulla sua vicenda. “Ho affrontato il film con la giusta distanza, senza pregiudizi”, ha dichiarato il cineasta italiano al mensile “Ciak” (numero di gennaio 2020).
Ad Amelio non interessa una ricostruzione accurata della vicenda politica e giudiziaria di Craxi, ma immaginare come furono gli ultimi mesi di (auto)esilio ad Hammamet, per presentare un film intimista. Un “re” decaduto e malato, inviso alla quasi totalità del popolo italiano (viene menzionato l’episodio del lancio delle monetine fuori dall’Hotel Raphael di Roma, accaduto il 30 aprile 1993), alla prese con i fantasmi dei propri ex amici, i ricordi personali e la difesa del proprio operato come leader politico di fronte alle inchieste giudiziarie.
Un film che si regge quasi esclusivamente sulla bravura di Pierfrancesco Favino che interpreta il ruolo da protagonista, regalandoci un’altra performance memorabile e da Oscar dopo essere stato Tommaso Buscetta nel film “Il Traditore” di Marco Bellocchio. Una somiglianza totale con il vero Craxi: dal volto ai gesti, dai tic fino a uno straordinario uso della voce. Il rischio di esagerare e stonare era concreto, ma sia il regista che l’attore l’hanno sapientemente evitato.
In tutto il film i personaggi hanno nomi di fantasia. Per esempio la figlia di Craxi si chiama Anita, come la moglie di Garibaldi, e non Stefania. Anche il protagonista della storia non viene mai chiamato Bettino Craxi, ma solo “Presidente”. Il taglio dato ad “Hammamet” risulta quindi ambiguo, tra realtà e finzione, fino a sfociare nell’ultima scena onirica che richiama sia il cinema di Fellini che quello di Bellocchio.
La sceneggiatura difetta poi della ricostruzione storica del panorama politico italiano degli anni ‘80 e ‘90, accennato solo molto superficialmente. Il film risulta quindi poco comprensibile a un pubblico giovane che non ha vissuto quel periodo storico. Inoltre, a parte la scena iniziale del congresso, in “Hammamet” manca anche la rappresentazione del grande apparato del Partito Socialista Italiano, che governò il Paese a lungo assieme alla Democrazia Cristiana, spartendosi oneri e onori.
Amelio, quindi, non fa un’operazione storica o biografica, realizzando un film drammatico che non può però raggiungere la grandezza di pellicole quali “Il Divo” di Paolo Sorrentino e “Buongiorno, notte” di Marco Bellocchio. In questi film la sceneggiatura era riuscita a mettere in armonia la dimensione privata del protagonista – Giulio Andreotti nel primo caso, Aldo Moro nel secondo – con la ricostruzione del contesto socio-storico-politico, regalandoci due film che parlavano della memoria collettiva di alcune fasi storiche salienti del nostro Paese.
“Hammamet” ha senza dubbio il pregio di aver fatto tornare al centro del dibattito pubblico l’ingombrante e divisiva figura di Bettino Craxi, ricostruendone, con molte licenze letterarie, il dramma umano della parte finale della sua vita.