Eccoci per l’ultima volta a trattare il tema del nostro EXPO evento che si sta per concludere e che credo lascerà non pochi ricordi in tutti coloro che hanno avuto il piacere di scoprirne i contenuti. In questo approfondimento vorrei entrare nel merito della visione architettonica d’insieme, soffermandomi su alcuni punti particolarmente interessanti.
L’area scelta per l’esposizione, nel sito di Rho-Pero affiancata all’area di Fieramilano, viene strutturata intorno a due assi perpendicolari, detti Cardo e Decumano, sul modello delle antiche città romane.
Sull’asse principale (Il Decumano, che prende il nome di World Avenue) si affacciano i lotti assegnati ai paesi partecipanti. Lungo il Cardo, invece, si sviluppa l’area espositiva assegnata all’Italia alle sue regioni, città e provincie. In particolare, all’estremo nord del Cardo viene posizionato Palazzo Italia, dove vengono organizzate le cerimonie ufficiali ed accolte le delegazioni dei paesi ospiti. Nel punto di incontro tra i due assi sorge invece una grande piazza di 4000 mq, che funge da centro virtuale dell’intero sito.
All’estremo ovest della World Avenue, trova posto l’ Expo Centre, composto da una sala auditorium, un’area all’aperto dedicata alle performance, un media center e un quartiere-volontari, mentre perpendicolarmente al Decumano, lungo il corso d’acqua e gli spazi alberati, si sviluppano le aree di servizio e ristorazione. All’ingresso del sito, trovano invece spazio le serre e gli agroecosistemi che costituiscono le aree tematiche dell’esposizione. Altre zone di grande importanza vengono rappresentate dalle aree corporate di sviluppo tematico, dedicate al mondo imprenditoriale, e dalla Cascina Triulza, tipico esempio di architettura rurale lombarda il cui restauro è stato pensato nell’ottica di creare un punto di contatto tra il tema dell’evento e il territorio.
Una sessantina sono le principali architetture che compongono il ‘mosaico’ di Expo, opere eco-sostenibili, riciclabili e smontabili, (così vengono dichiarate) con strutture auto portanti e fisionomie che si ispirano al territorio d’origine (non tutte ovviamente).
Alcune di queste a mio avviso , per ingegnerizzazione, forme ed emissione di induzione all’esplorazione sono certamente da porre in rilievo.
Partirei dal padiglione Vanke, caratterizzato dal colore rosso e dalla forma sinuosa, plesso a carattere commerciale cinese. Concepito per la nota multinazionale da Daniel Libeskind, ha un forte effetto tridimensionale. Esteso su una superficie di oltre 1.000 metri quadri, dispiega circa 300 schermi multimediali, ideati da Ralph Appelbaum Associates, che proiettano un breve filmato di 8 minuti sulla vita delle comunità Shitang cinesi. Per raccontare la storia del popolo cinese strettamente connessa con la vita della società contemporanea, il designer Han Jiaying converte in inchiostro bianco e nero alcuni elementi rappresentativi della cultura alimentare cinese, come le bacchette.
Interessante il padiglione della Germania che testimonia particolare attenzione sui prodotti sostenibili anche nell’arredamento. Va notato all’interno lo spazio intitolato «Fields of Ideas»: il giardino delle idee, una esortazione a partecipare e con un «paesaggio» vivace, fruttuoso e ricco di idee, «dando una percezione tangibile di quanto sia importante, per l’alimentazione del futuro, sviluppare un rapporto con la natura che ne riconosca tutto il valore»
Da rilevare la capacità del designer del Padiglione Ungherese che ha utilizzato forme e materiali che riprendono aspetti tipici del paesaggio ungherese (come i granai, i silos di campagna e le stalle) e sono concepiti secondo i principi dell’architettura organica, sviluppatasi a metà del Novecento. I tamburi simbolici in rame e vetro su fronte e retro rimandano a radici antiche evidenziando il rapporto mistico con la natura e sono solcati dall’antico simbolo dell’albero della vita nel quale scorre l’acqua, quella ungherese, che è nota per le celebri proprietà termali.
Imponente, importante e forse ‘esagerato’ il Padiglione della Russia progettato dallo studio Speech, guidato dagli architetti Sergei Tchoban, Alexei Ilyin e Marina Kuznetskayasi, che si contrassegna per una struttura a ‘elle’ con un elemento agettante – un baldacchino di 30 metri di lunghezza – decorato a specchio, che svetta dal tetto verso l’alto. Edificato su un’area di 4.000 metri quadrati, ha un’elegante facciata in legno, un interno semi-trasparente al piano terra e un tetto con giardini pensili di grande effetto.
Il Cile, paese sudamericano evidenzia l’impegno a favore della protezione delle risorse idriche e della produzione di cibo sostenibile per tutti. Il materiale principe, il legno, è usato per ricordare che la superficie forestale in Cile è in aumento, in controtendenza rispetto alla deforestazione in corso sulla Terra. In questa architettura composta da travature ‘ad incrocio’ si evidenzia la volontà di integrare l’esterno all’interno dello spazio espositivo; l’uso elevato dell’amabile legno è certamente un punto a favore di chi crede nel ritorno alla terra ed al rispetto della stessa.
Concludo rientrando in Italia, il cui padiglione si sviluppa su circa 13.200 mq su 6 livelli (fuori terra), con un palazzo bianco cui sono annessi altri edifici temporanei sul Cardo (circa 13.700 mq su 3 livelli fuori terra). Di notevole impatto visivo, anche per la sua indiscussa estensione; si segnala che la malta utilizzata per coprire le strutture prefabbricate è composta da oltre l’80% di aggregati riciclati.
Ora il grande dilemma … l’evento mondiale si sta concludendo e non si sa quale sia il futuro dell’area a Rho-Pero. Ovviamente molti soggetti si sono e si stanno candidando ad occupare parte dei terreni da un milione di metri quadrati. Interessante la proposta della Triennale che rilancia l’ipotesi di allestire nei padiglioni la XXI Esposizione internazionale di architettura del 2016, che la città oramai attende da 20 anni.