Con la trilogia Orestèia (Agamennone, Coefore, Eumenidi), chiusa dal dramma satiresco Proteo, Eschilo conseguì nel 458 a.C. l’ultima vittoria al concorso tragico delle Dionisie in Atene. Le vicende degli uomini guidati dai pastori dei popoli, i re, che muovono spedizioni militari per conseguire la kléos e pareggiare con la fama conseguita la grandezza degli dei si infrange sul sangue versato, sul dramma, che accomuna tutti, vinti e vincitori. Neppure i legami di sangue servono a salvarsi, anzi questi sono i primi ad essere sacrificati. In questo ciclo di Eschilo, ripreso in modo molto originale dalla Compagnia Anagoor di Castelfranco Veneto premiata con il Leone d’Argento 2018, inaugurando il 46° Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia proprio con l’Orestea, drammaturgia di Simone Derai e Patrizia Vercesi, vengono ripresi temi cari ad Omero che nell’Iliade ha reso immortale la guerra di Troia condotta da Agamennone per vendicare il ratto di Elena, compiuto da Paride Alessandro, principe di Troia e figlio di Priamo. Il grande re chiama a raccolta tutte le città greche, accomunate da un patto di sangue, più ancora interessate a liberarsi della presenza ingombrante di Troia, che presidia il passaggio sull’Ellesponto verso il Ponto Eusino, luogo favoloso del Vello d’oro, da cui arriva un altro personaggio femminile inquietante, Medea, tragico e potente, creato e rappresentato da Euripide qualche anno dopo, nel 431.
Il primo tema affrontato è quello dell’infedeltà coniugale. Per questo il rapitore deve pagare il fio. Ma la spedizione rischia di non partire, impedita dai forti venti. Agamennone deve placare gli dei. Non esita perciò a sacrificare la figlia Ifigenia alla ragione di stato. Un assassinio che non si placherà se non con la sua morte dalle mani della moglie Clitennestra e dal suo compagno Egisto, a sua volta uccisi dal figlio Oreste. In questo modo si placano le Erinni, diventate da allora Eumenidi. Un matricidio che era stato istigato da Apollo, custode della famiglia, che veniva posta in discussione dal regicidio della moglie, che si vendica della figlia, trascinando nella morte anche Cassandra che Agamennone aveva condotto in schiavitù e amante da Troia. Materia drammatica e incandescente, macchiata di sangue e di morti da entrambe le parti lungo la pianura di Ilio e nelle acque rosseggianti dello Xanto e del Simoenta.
La Compagnia Anagoor aveva con successo e originalità affrontato il tema classico nel ‘Virgilio brucia’, recitando in latino il racconto che Enea fa alla regina di Cartagine, Didone. Anche lì morti e fiamme rigeneratrici. Il compito di portare l’Orestea sulle scene Anagoor lo affronta in modo del tutto originale, nelle riflessioni del portavoce, il poeta o narratore o aedo moderno, che racconta gli avvenimenti accaduti non senza riflessioni profonde sulla vita e sulla morte, sul nulla e sul rapporto antropologico fra vivi e morti nelle varie culture mediterranee e oltre. Il racconto si accompagna a video che mettono in evidenza il dramma di uomini, cose e animali portati al macello e in attesa della mannaia, che è il nostro destino, e una musica potente, stridula che sovrasta ogni cosa e innerva la presenza umana annichilita, secondo i disegni divini. I sogni umani si infrangono di fronte alla nullità dei progetti di gloria e di potenza, ma la memoria rimane, come alla fine ricorda Virgilio. Ogni cosa della storia degli uomini resterà impressa, perché il ricordo serva a non compiere più misfatti. L’eroe si sente solo e invano si rivolge al cielo, attendendo un segno fausto che non appare. Una materia enorme, una presenza attonita del popolo, che partecipa in apprensione agli avvenimenti e si abbandona alle danze come per esorcizzare la sua fine.
Straordinario! Complimenti alla regia, alle luci, ai suoni e agli interpreti che hanno tenuto gli spettatori inchiodati alle sedie, riportandoli dentro i drammi della nostra povera umanità derelitta.