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L’Associazione Nazionale Docenti Jazz e Pop Rock dell’Afam e l’Associazione Nazionale Scuole Jazz e musiche audiotattili hanno siglato un protocollo d’intenti per ampliare e potenziare il sistema formativo. Che, in Italia, dà lavoro a oltre 100.000 insegnanti e coinvolge un milione di studenti
È composto da 100.000 docenti e da un milione di studenti l’esercito (pacifico) della cultura musicale in Italia, tutti impegnati nelle “battaglie” creative dei nuovi linguaggi: jazz, pop, rock ma non solo. Un movimento, quello di chi insegna e di chi vuole imparare, che parte dal basso, dalle 8.000 realtà, tra scuole e associazioni del terzo settore distribuite sul territorio nazionale, fino agli oltre 60 dipartimenti e coordinamenti di “Scuola Jazz” dei Conservatori, oggi denominati Istituti Superiori di Studi Musicali dell’alta formazione artistica e musicale (AFAM), con più di 550 cattedre ad indirizzo Jazz, Pop Rock e Musiche Tradizionali. I dati sono contenuti in una recente indagine dell’Università di Bologna che ha voluto fotografare una realtà (ancora non perfettamente mappata) in cui i docenti, impegnati quotidianamente nella didattica musicale, rivestono un ruolo fondamentale. E proprio dal mondo dell’insegnamento giungono interessanti novità, anche di carattere operativo: è stato infatti siglato, nei giorni scorsi, un protocollo di intenti tra Nicola Pisani, presidente dell’Associazione Nazionale Docenti Jazz e Pop Rock dell’Afam, e Claudio Angeleri, suo omologo dell’Associazione Nazionale Scuole Jazz e musiche audiotattili. L’intesa mira a incentivare il dialogo e i rapporti tra realtà affini ma spesso, di fatto, lontane e separate. Tra gli impegni assunti dalle due associazioni lo sforzo congiunto affinché venga ampliato e arricchito il sistema formativo della didattica musicale (anche in virtù delle esperienze europee nel rispetto dell’EQF, il quadro europeo delle qualifiche). Nell’accordo appena siglato le due realtà si impegnano, inoltre, a una maggiore collaborazione e a una condivisione nell’offerta formativa, grazie a convenzioni, progettazione condivisa nella realizzazione dei corsi di studio, piani comuni di formazione, ma anche nell’organizzazione di seminari, convegni e master, dando così piena attuazione al principio di “sussidiarietà orizzontale” espresso dall’articolo 118 della Costituzione.
Ma perché il jazz, ritenuto di nicchia e nato Oltreoceano, è considerato il genere il più indicato per realizzare un ampio progetto di educazione musicale? «Innanzitutto viviamo in una società globalizzata e il jazz e la musica improvvisata rappresentano una prassi capace di rielaborare creativamente le culture più diverse – risponde Pisani – compresa la nostra, che a sua volta ha mille sfaccettature. Fin dalle origini, il jazz ha indicato una via autonoma e innovativa verso la pratica musicale e creativa, dimostrando nel tempo, grazie anche ad un vasto campo di ricerca estetico e scientifico, di possedere uno straordinario approccio pedagogico, valido per tutti i diversi stili musicali, compreso il nostro antico e variegato mondo classico europeo». Grazie all’improvvisazione e all’approccio mimetico e imitativo della pedagogia audiotattile proveniente “dal” jazz, i bambini e le bambine possono avvicinarsi fin dalla più tenera età alla musica in modo creativo e motivante, conquistando successivamente le regole della notazione e della teoria musicale con maggiore consapevolezza e autonomia. È esattamente l’opposto dell’approccio “visivo” incentrato sulla partitura e il solfeggio. Non è un caso che diverse scuole pedagogiche musicali, sia contemporanee o filologicamente storicizzate, abbiano compreso il ruolo e l’importanza dell’improvvisazione. In cosa si differenzia, quindi, la novità offerta dal jazz e dall’improvvisazione audiotattile? Risponde Claudio Angeleri: «L’etnomusicologia ha dimostrato che tutte le culture musicali del mondo, dopo le fasi esplorative dei primi anni dell’infanzia, si confrontano con la pulsazione continua, definita nel jazz continuos pulse, creando una sorta di pilota automatico interiore con cui si può affrontare ogni contesto musicale, improvvisato o scritto. Il jazz si fonda proprio su questo approccio che consente a tutti i soggetti alfabetizzati, secondo una specifica metodologia, di affrontare ogni tipo di musica e di dialogare con gli altri con maggiore libertà e consapevolezza».
Secondo i firmatari del protocollo, è dunque fondamentale diffondere la prassi dell’improvvisazione nel mondo della scuola (di ogni ordine e grado) e in quello accademico. Nel nostro Paese non mancano, per la verità, esempi virtuosi e incoraggianti: per quanto riguarda, in particolare, il jazz, va sottolineato che questa musica è entrata a contatto con migliaia di studenti delle scuole primarie e secondarie grazie all’International Jazz Day, la giornata mondiale indetta nel 2011 dall’Unesco che ha riconosciuto questo genere musicale patrimonio immateriale dell’Umanità per il suo ruolo diplomatico come arte capace di unire le persone in ogni angolo del globo. In Italia, in vista dell’International Jazz Day, decine di associazioni, Conservatori e scuole di musica danno vita all’iniziativa Jazz Mood Day, cioè a un intero mese di laboratori e lezioni-concerto in un’ottantina di istituti comprensivi (infanzia, primaria e secondaria) dislocati in diverse regioni. Il tutto grazie all’impegno della Jazz Mood School coordinata da Angelo Bardini.
Non solo: nel comparto AFAM si è costituita la ONMC, l’Orchestra Nazionale di Musica Creativa, composta da studenti provenienti da dieci Istituti Superiori di Studi Musicali, il cui obiettivo è quello di entrare a far parte del sistema delle Orchestre Nazionali dei Conservatori promosso dal Ministero dell’Università e della Ricerca. La ONMC ha partecipato all’Aquila, lo scorso anno, alla manifestazione “Il Jazz Italiano per le terre del Sisma”, ideata su sollecitazione di Paolo Fresu dopo il terremoto del 2009 che ha devastato il capoluogo abruzzese. Nata con finalità solidaristiche, oggi questa iniziativa coinvolge, grazie alla Federazione Il Jazz Italiano e all’impegno dei suoi presidenti (prima Paolo Fresu e Ada Montellanico, ora Roberto Ottaviano), tutta la filiera del jazz nel nostro Paese: musicisti, organizzatori di festival, docenti di musica dei Conservatori e del terzo settore ma non solo.
Ci sono, infine, iniziative mirate ad ampliare il riconoscimento istituzionale del jazz, aggiornando la filiera musicale sia nel terzo settore sia nei licei musicali.
L’ANSJ (l’Associazione Nazionale Scuole Jazz e musiche audiotattili), l’AIdSM (l’Associazione Italiana delle Scuole di Musica), l’Unisca (la rete di coordinamento della filiera del settore creativo, dello spettacolo e delle arti performative) e Italshow (l’associazione di professionisti, tecnici, artisti e operatori del settore della creatività, delle arti e dello spettacolo) stanno definendo, inoltre, diverse figure professionali della musica e dello spettacolo e, in particolare, quella del docente audiotattile grazie alla legge 4/2013 del Ministero delle imprese e del Made in Italy, mentre l’Associazione Nazionale Docenti Jazz e Pop Rock dell’Afam (DJeP-AFAM) è da anni impegnata per l’istituzione di percorsi di “nuovi linguaggi” nei licei musicali e per il riconoscimento, quale requisito di accesso alle procedure di reclutamento per l’insegnamento di strumenti e canto nelle scuole secondarie, dei diplomi accademici AFAM di Jazz e Popular Music.
I due sistemi, quello AFAM e quello delle scuole di musica del terzo settore, sono di fatto da sempre correlati spontaneamente, si autoalimentano reciprocamente, creano percorsi formativi e artistici senza soluzione di continuità, anche se non esistono ancora criteri e normative in grado di stabilire riconoscimenti istituzionali capaci di mettere a sistema questo “intreccio formativo” virtuoso. C’è poi da considerare la mobilità dei docenti, formatisi in gran parte nella scuole del terzo settore o in percorsi autodidattici, e oggi spesso occupati sia nel comparto AFAM sia nelle scuole. Anche gli studenti sono mobili: i dati dimostrano che chi si iscrive ai percorsi professionalizzanti di jazz dell’AFAM proviene prevalentemente dalle scuole del terzo settore, talvolta frequentate anche contemporaneamente per arricchire e completare le proprie conoscenze. Una realtà che non si può ignorare e che richiede un cambio di passo culturale oltre che normativo.
Infine, a proposito del ruolo dell’insegnamento, Mirco Besutti, il presidente dell’AIdSM, l’Associazione Italiana delle Scuole di Musica, sottolinea: «Nonostante il trend positivo degli eventi pop e rap più attrattivi e la crescente domanda di musica, i musicisti italiani non hanno la possibilità di “vivere” esclusivamente di concerti, qualunque sia il genere praticato. Per molti di loro e per i neodiplomati dei Conservatori, le scuole di musica rappresentano la principale opportunità di lavoro. Il settore si fonda sui principi di sussidiarietà orizzontale, stabiliti anche dalla nostra Costituzione, che sollecita lo Stato a consorziarsi con il terzo settore per garantire ai cittadini e alle scuole pubbliche un’offerta formativa di base più ampia ed anche economicamente sostenibile. Alcune Regioni (Emilia, Toscana e Lazio) hanno già promulgato leggi ad hoc di riconoscimento istituzionale di questo processo, mentre altre, come la Lombardia, li stanno avviando, grazie proprio alle sollecitazioni delle associazioni di categoria».
Fonte: Ufficio stampa e comunicazione Andrea Conta