“Ehi, ciao! Ti ho pensato tutto il giorno. Come va?”
“Ciao! Che bello sentirlo, anche io stavo pensando a quanto sei attraente…”
“Davvero? Cosa ti piace di me?”
“Beh, non riesco a togliermi dalla mente quella volta in cui ci siamo baciati così appassionatamente.”
“Mi piace quando mi baci.”
“Mi fa impazzire immaginare le tue mani sul mio corpo, cosa indossi adesso?”
“Solo un paio di pantaloni e una maglietta.”
“Mi piacerebbe vederti senza niente addosso. Vorrei sentire la tua pelle contro la mia. Dai, togliti i vestiti e mandami una foto”
Moralismi a parte, non ce ne saranno in questo articolo, il sexting è uno dei modi per condividere l’intimità, con buona pace degli scettici, che ci leggono una concezione ridotta della sessualità, vissuta più come consumo che come esperienza autentica; con buona pace dei critici, che vedono nel “sesso tecnologico” una drastica riduzione della profondità delle relazioni umane; con buona pace dei cinici, che per natura annusano solo il lato negativo delle cose, spesso mettendo in discussione la bontà delle azioni umane, valutando il sexting la mera espressione di desideri immediati senza un reale coinvolgimento emotivo.
Quando le parti sono consenzienti e a proprio agio, ciò che le parti scelgono di condividere è alla base di una sessualità sana. Ciò significa che il sexting può costituire un ottimo carburante per la coppia, aiutando a co-costruire uno spazio per liberare le fantasie, promuovere la scoperta dei corpi senza la pressione immediata di un incontro fisico, oppure precedere l’incontro e renderlo incandescente, fino a facilitare una comunicazione onesta riguardo a desideri e preferenze sessuali, permettendo una maggiore libertà di espressione, alimentando l’autostima.
E’ indubbio, però, che il sexting esponga (anche) al rischio della diffusione delle immagini erotiche e dei messaggi annessi, attirando un momento di complicità nel vortice violento del revenge porn. La tecnologia è una realtà delle relazioni interpersonali con cui fare i conti. Non ha senso avvoltolarsi nella sola demonizzazione che, costituendo un potente strumento retorico, rischia di oscurare l’orizzonte senza lasciare filtrare alcun raggio di luce, quanto piuttosto indagare vantaggi e limiti per equipaggiarsi opportunamente.
L’adolescenza, in particolare, vuole una riflessione. Secondo uno studio dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza del 2018, il fenomeno del sexting è decisamente in crescita nel mondo degli adolescenti: il 6% dei giovani fra gli 11 e i 13 anni invia abitualmente le proprie immagini a sfondo sessuale per via telematica, con una prevalenza di 2 su 3 ragazze, percentuale che sale al 19% tra i 14 e i 19 anni.
Difficoltà nel gestire il consenso, pressione da parte del partner, timore di perdere il partner, torchiatura dei pari, bisogno di “fare come tutti gli altri”, curiosità, ricerca di conferme, sperimentazione sessuale, esplorazione del proprio potere personale, noia, stato di ubriachezza che rende più disinibiti, sono diverse le motivazioni che spingono al sexting. A tutto questo si possono aggiungere forme serpeggianti di depressione, ansia, solitudine, emozioni faticose che premono, facendosi largo. Sentimenti di inutilità, umore basso, perdita di interesse e piacere rendono il bisogno di ottenere convalida o sostegno pressante, mentre una preoccupazione eccessiva porta ad impegnarsi nella relazione per non sentirsi messi da parte. La sensazione di solitudine, poi, è la via maestra per un maggiore utilizzo di internet, facendo di attività sessuali online e dell’utilizzo della pornografia occasione di sollievo. Alla ricerca della sensazione di sentirsi attivi, parte del mondo là fuori, ma al tempo stesso protetti, i contatti online proteggono dal rischio della relazione de visu.
Certamente l’adolescenza è il periodo dei cambiamenti identitari, delle sensazioni ambivalenti, di un’autostima in fase di definizione, dell’accettazione di sé ancora incerta. Se scoraggiare l’esplorazione della sessualità non è una buona strada, vigilare sugli aspetti di sicurezza è cosa buona. Ma la tutela può essere solo quella di non farsi riprendere, fotografare, di non inviare materiale sessualmente esplicito? Se è indubbiamente la soluzione apparentemente più immediata, la prevenzione deve essere di più ampio respiro.
Supportare quante e quanti hanno ceduto alla tentazione di amplificare il potere della propria sensualità attraverso internet in un gioco di reciproco avvicinamento non può fermarsi al solo rimprovero. Riconoscere che la scoperta del corpo e della sessualità è inevitabile e necessaria per lo sviluppo di un’identità adulta sana e integrata obbliga gli adulti ad assumere il ruolo di guida equilibrata, che incoraggia sia l’autonomia, sia la responsabilità.
I nativi digitali, cresciuti con la tecnologia a portata di mano, utilizzano inevitabilmente anche questi nuovi strumenti per navigare la complessa mappa della loro sagoma in costruzione. Il sexting diventa espressione della necessità di riconoscimento e conferma in un periodo della vita in cui l’identità viene costruita e validata attraverso lo sguardo dei pari. Più che un sintomo di crisi di significato, rimane innanzitutto una forma di ricerca di identità e appartenenza, dove la tecnologia, con il suo potere di connessione immediata, illude di restringere il campo della solitudine, offrendo l’illusione dell’intimità. Sotteso giace il paradosso della libertà sessuale apparente: da una parte i giovani godono di una libertà senza precedenti nell’esprimere la propria sessualità, dall’altra respirano una profonda vulnerabilità, dove l’invio di immagini intime può dare loro l’illusione di controllo e di un’esposizione limitata di sé.
Riflettere insieme sui valori personali e culturali per dare forma ad una bussola interiore che guidi le decisioni future può essere un modo per star loro accanto. No ai moralismi, il tema è la cultura dei sentimenti, non la repressione che invita alla colpevolezza. L’adolescenza è l’epoca della rivelazione del potere personale, è il periodo in cui il corpo scopre il potere della seduzione, è il momento delle metamorfosi, un approccio non giudicante rimane il cuore di un intervento educativo. L’invito al rispetto di sé, al rispetto reciproco, alla ricerca di consenso, alla comunicazione chiara, alla scelta, alla possibilità di dire “no…basta…mi piace…non mi piace” sono i punti cardine, il che comporta saper offrire ai giovani uno spazio in cui raccontarsi senza giudicarli. Gli adulti devono attrezzarsi per trattare le questioni “scomode”, senza escludere che i primi ad avere bisogno di aiuto siano loro. La consulenza psicologica serve anche a questo: supportare la genitorialità nei momenti difficili.
Nel palco della rivoluzione personale che è l’adolescenza, trovare l’equilibrio tra autonomia e appartenenza, indipendenza e sana dipendenza, è la sfida di ogni adolescente, un compito fatto di equilibrismi, inciampi, scivolate. Ogni successo e ogni fallimento diventano mattoni con cui costruire l’identità, ogni esperienza, dolce o feroce, contribuisce a definire la rotta, ogni movimento diventa una dichiarazione di presenza: “Io sono qui, sono vivo”.
Agli adulti rimane il delicato compito di inserirsi in questo turbolento movimento di conquista e crescita, posizionando i binari di un treno su cui saliranno solo i giovani. E’ proprio questa la difficile sfida: esserci, restituendo al tempo stesso autonomia.