Sarà il mio prossimo libro. Anzi, un libello. Leggero, aggraziato, leggiadro, di poche pagine, frusciante e delicato, come i beni che da tempo ci siamo persi con l’armonia che ci donava l’eleganza nei comportamenti, nell’abbigliamento, nel discorrere e nello scrivere.
Dove sono gli abiti interi o spezzati di gabardine, lana o cotone, i panciotti, e le cravatte multicolori che indossavamo quando studentelli superavamo l’atrio del Liceo o dell’Istituto per assistere alle lezioni e affrontare interrogazioni? Così come cappotti loden, Raglan o Montgomery sono totalmente scomparsi, inghiottiti dal tempo e dalla fretta, da un tutto ormai semplificato e uniformato. E pensare che a quel tempo, eh, sì, è passato molto tempo, persino contadini e spazzacamini indossavano il panciotto e i pantaloni con la piega. Magari rattoppati, ma solo nell’abito da lavoro. Perché “il vestito della festa”, magari unico per l’estate e l’inverno, anche fra la povera gente, aveva il suo decoro e veniva trattato con tutte le premure. Quasi come una reliquia. Ebbene, tutto questo ha lasciato spazio e terreno al comodo, al “casual”, alla volgare scarpa da tennis, al blue jeans strappato, liso, sbucciato, sì da mostrare le ginocchia e magari sovrapposto da maglioni o giacconi con la zip, color “topo che fugge”, senza grazia, né stile, né armonia. Giovani che sembrano ormai tutti uguali, spersonalizzati nell’abbigliamento, raffazzonati, fatti con lo stampino.
Armonia ed eleganza scomparse anche nello scrivere. Basta vedere come le nuove generazioni aggrediscono la penna a sfera anziché accarezzarla con tre dita. E rigano la carta in uno stampatello furioso, rozzo, immediato. Le lezioni di bella calligrafia con il grassetto e il bastoncino nello stile inglese sono defunte. Peccato, perché anche nello scrivere con la grazia e la flessibilità del pennino vi era il tempo per pensare a ciò che si sarebbe voluto esprimere, meditando un aggettivo, un avverbio, una rima… Ora tutto superato dal linguaggio freddo e smozzicato a furor di pollici fra cellulare e cellulare, dove le vocali fuggono via per abbreviare, per fare in fretta, per fagocitare il tutto possibile, grazie alla maggior pigrizia possibile. È come rovinare un bicchiere di buon vino tracannandolo con foga anziché centellinarlo per gustarlo nella sua essenza. Se un giovane liceale di quarant’anni anni or sono disponeva di un corredo lessicale di 1500 vocaboli, uno studente di oggi ne usa sì e no 500. È la scuola regalata dal “sessantotto”, bellezza!
Eleganza scomparsa anche nel dialogo e nel formulare una risposta. Si va subito al dunque, in modo roboante, deciso, aggressivo. L’interlocutore deve capire come la penso io, non deve poter ribattere. Si pensi a quando, diversi decenni or sono, una distrazione fra automobilisti faceva udire quel garbato “ma chi le ha dato la patente?”, oggi è divenuto un “figlio di p… dove c… hai la testa?”
Se parliamo di spettacoli di varietà, arriviamo al baratro. Il linguaggio deve essere triviale, osceno, altrimenti il becero e incolto pubblico non ride. Nella musica, calcano il palcoscenico urlanti cavernicoli tatuati, con “piercing” da mandare in tilt un metaldetector e vestiti da straccioni che, non sapendo (salvo rari casi) cantare, devono affidarsi agli effetti speciali di fumogeni, luci psichedeliche e musica “a palla”, altrimenti il popolino, in estasi per i loro mugugni o per le strazianti banalità messe in rima a casaccio, non si sente abbastanza partecipe nella bolgia dantesca chiamata concerto.
Infine, abbiamo perso l’eleganza nel corteggiamento. Era un gioco di ruolo, dove il maschio avvertiva persino una timidezza verso la fanciulla, ragazza o donna che desiderava corteggiare. Una timidezza alla quale corrispondeva la di lei prudenza, la cautela della donna che non intendeva “essere presa in giro”, come raccomandavano mamme e nonne. Oggi mamme e nonne non raccomandano più. Anzi, spesso entrano in competizione con figlie e nipotine mostrando occhioni dolci al giovanotto presentato. Ma il giovanotto di oggidì è uno che va diretto alle maschie pruderie ormonali, senza troppi preamboli. E magari con la presunzione di riuscire a conquistare una ragazza anche dove un minimo di intelligenza dovrebbe fargli comprendere che non è la donna per lui, che non è disponibile, che, insomma, tu non gli piaci. Devi capire, caro maschietto, la differenza fra quando lei vuol solo provocare per avere contezza della sua premiante femminilità verso il maschio in generale, cosa alla quale nessuna donna si sottrae, oppure se davvero sei tu, e solo tu, a piacerle. Devi comprenderlo da gestualità, tono della voce, sguardi e piccole attenzioni esclusive nei tuoi personali confronti. Se poi è davvero piaciuto e gradito, talvolta il maschio perde di vista la gradualità del processo di corteggiamento, che consiste nell’attesa, nella dolcezza delle parole, nel complimento sincero, nell’invito garbato a un aperitivo, una cena, un cinema, magari con un fiore.
Bruciare i tempi, non accettare un diniego, non saper pazientare e voler trasformare una possibile condivisone di affetti in un possesso, caro maschietto, anche questo è perdere l’eleganza. E, spesso, fa precipitare in situazioni davvero incresciose.
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