L’analisi geopolitica del Gen. Roberto Bernardini, già Comandante dell’Esercito Italiano, sul Summit NATO svoltosi lo scorso 10 luglio in terra americana.
I 32 partner della NATO hanno celebrato a Washington lo scorso 10 luglio il 75° anniversario della costituzione dell’Alleanza Atlantica. La sede non è casuale. Tenendo il summit nella capitale americana si è voluto ribadire la leadership degli Stati Uniti come guida egemone in un momento molto complicato per gli USA ma anche per gli alleati europei. Un segnale di coesione e di reciproco sostegno voluto da Biden quando in Europa riemergono i sovranismi nonostante la politica di unione e stretta collaborazione seguita e imposta dagli USA per la crisi Ucraina. L’evento globale cade in un momento veramente critico per il futuro della NATO, per turbolenze nei rapporti politici e serie preoccupazioni per le crisi irrisolte. Ansie per il perdurare della guerra in Ucraina e per la sicurezza di un’Europa di fatto disarmata ma anche soprattutto per la posizione di rilievo assunta nelle relazioni internazionali dalla Cina, sempre più invasiva e determinata. Senza tralasciare poi la situazione in tutto il Medio Oriente, foriera di possibili escalation di violenza alle quali l’Iran non sarebbe estraneo. Ma poi, come se non bastasse, minacciosamente incombe sullo sfondo, la questione americana, le prossime elezioni presidenziali che potrebbero portare alla seconda presidenza di Donald Trump, sempre critico sulla necessità di mantenere in piedi l’Alleanza che assorbe tante risorse americane.
In questo quadro pieno di nuvole nere, i capi di stato e di governo hanno accolto, ed è una novità, i loro omologhi di quattro paesi asiatici ed oceanici alleati ma non membri: il Giappone, la Corea del sud, la Nuova Zelanda e l’Australia. Un altro segnale tutto americano che allarga la “mission” della NATO al di fuori dell’area transatlantica.
Un altro incontro atteso ma sul quale non tutti concordavano, quello oramai routinario con il presidente ucraino Zaleski, nella seduta del Consiglio Nato-Ucraina, costituito nel 2023 per “avvicinare” l’Alleanza a Kiev senza “accelerarne” l’adesione da quasi tutti ipotizzata ma ovviamente non ancora programmabile.
Di fatto, in piena guerra in Ucraina, la NATO di Biden si è sforzata di serrare i ranghi non solamente contro la Russia, ma anche di fronte alla Cina. Due potenze la cui amicizia oramai dichiarata “senza limiti” sostiene Mosca nelle operazioni nel Donbass contribuendo al mantenimento della sua superiorità militare rispetto all’Ucraina. Forti sono le preoccupazioni degli alleati visto che Pechino non ha mai condannato l’invasione russa pur sbandierando in ogni luogo la sua presunta neutralità.
“La Cina gioca oramai un ruolo determinante nella guerra condotta dalla Russia contro l’Ucraina” hanno denunciato i partner invitando Pechino a sospendere l’appoggio materiale e politico allo sforzo di guerra russo. Hanno aggiunto anche una valutazione di merito: “la Cina non può incentivare la prosecuzione della più grande guerra che l’Europa ha conosciuto nella sua storia recente senza che questo nuocia ai suoi interessi e alla sua reputazione”.
Si è trattato di un messaggio politicamente molto forte che ha seguito i numerosi richiami all’attenzione politica e alle allerte sulla Cina diffuse dai servizi degli Stati Uniti al riguardo.
Pur constatando che Pechino ad oggi non fornisce armi a Mosca, è oramai universalmente noto che assicura componenti elettroniche “dual use” che hanno permesso alla Russia di aumentare la sua produzione interna di armamenti. Si tratta dell’accusa più grave mai indirizzata contro il “paese del dragone” come ha poi stigmatizzato il segretario generale delle Nazioni Unite Stoltemberg che alla fine del suo lungo e più volte prorogato mandato sarà sostituito il prossimo 1 ottobre nell’incarico dall’ex premier olandese Rutte.
Questa focalizzazione inedita sul ruolo della Cina, ovviamente di marchio americano, non ha trovato tutti i partner favorevoli.
L’amministrazione Biden insiste affinché la Nato prenda in considerazione le minacce militari di Pechino nella regione indo pacifica anche in collegamento con la guerra in Ucraina.
Il recente accordo di difesa reciproca firmato il 19 giugno tra la Russia e la Corea del Nord in occasione di una visita del presidente russo Putin ha portato nuovi argomenti alla versione di Washington. Questo drastico posizionamento degli americani, che ovviamente segue le linee dei loro interessi nazionali più che quelli dell’Alleanza, incontra “musi duri” negli alleati europei che non si schierano per non essere presi in mezzo al confronto tra le due principali potenze del pianeta. Temono infatti di vedere gli Stati Uniti concentrare il loro impegno in Asia a detrimento della sicurezza del vecchio continente. Per la gran parte della componente europea della NATO, numerosa ma meno influente del “grande fratello americano”, la Russia resta la principale minaccia storica per un’Alleanza creata in funzione anti URSS nella “guerra fredda”. Questa stessa Alleanza proiettata nel Pacifico per loro non avrebbe alcun senso. La NATO, questa NATO, sostengono decisamente i diplomatici francesi ad esempio, serve all’Europa. Per questo, molto più decisamente che le diplomazie di altri partner, rifiutano che l’organizzazione sia impegnata nella zona indo-pacifica o strumentalizzata da Washington nella sua rivalità con la Cina.
Un atteggiamento condivisibile e sul quale dovrebbero concordare tutti i partner, anche quelli solitamente più assoggettati alla leadership americana perché non si tratta di rientrare in una logica di blocchi, ma in un sistema che ci consenta di attivare delle utili cooperazioni anche fuori dall’Alleanza, a tutto vantaggio della stabilità mondiale. Una NATO, per statuto “alleanza di difesa” che preveda nella sua missione di schierarsi in Asia- Pacifico non è accettabile. Se lo si volesse fare, si dovrebbe chiudere la NATO ed inventarsi qualcos’altro al quale chi volesse potrebbe aderire. Tutta un’altra cosa e non più dedicata alla difesa dell’Europa. Alcuni tra i Paesi NATO del nord Europa, timorosi della possibile aggressione dell’Orso russo, appoggiano invece gli Stati Uniti, ritenendo che si trarrebbe comunque di una NATO che, pur orientata anche al Pacifico, assicurerebbe comunque la loro difesa dalla Russia. Discorso utilitaristico che ha evidenziato al summit il loro malcontento. Il premier ministro svedese Christersson, new entry nel club ha suggerito: “…dobbiamo accettare le preoccupazioni americane, se noi vogliamo che gli Stati Uniti siano impegnati per la sicurezza europea visto che la guerra in Ucraina promette di durare e minaccia di girare a vantaggio del Cremlino”.
E’ evidente che questi partner nordici vivono ancora lo storico spauracchio dell’URSS, temono ora la Russia e vogliono l’”ombrello” degli Stati Uniti.
Ma come ha reagito la Cina a tutto questo? Come al solito con molta morigeratezza ed equilibrio. Ha ovviamente espresso il suo vivo malcontento per le molte critiche. “La Cina denuncia un posizionamento alleato, impronta di una mentalità degna della guerra fredda e di una retorica bellicosa”, ha detto il portavoce della missione cinese presso l’Unione Europea.
E ha continuato dicendo che “la NATO dovrebbe cessare di fomentare i media con un’ipotetica minaccia cinese, cessare anche di incitare al confronto e alla rivalità e contribuire prima di tutto alla pace alla stabilità del mondo”. Parole distensive!
Ovviamente al summit si è parlato anche di Ucraina e Gaza, ma se n’è solo parlato. Zelensky non ha ottenuto quello che auspicava sopra ad ogni cosa, l’invito e una data per l’adesione all’Alleanza.. Per Gaza, un invito ai partner ad occuparsene ma anche qui nessun impegno concreto.
Ecco questa è la NATO oggi, molto diversa da quella costituita nel 1949 e tenuta orgogliosamente in vita almeno fino alla caduta dell’URSS nel 1991. Non è più adeguata ai tempi e non bastano le dichiarazioni dei summit per trasformarla o rifondarla con altri obiettivi. Si impone un totale cambiamento, una vera riforma che la renda adeguata alla presente situazione geopolitica mondiale. Per far questo servono solo la volontà e, soprattutto, l’impegno concreto dei partner. La partnership EU-NATO in questa fase appare cruciale. Abbiamo oggi un nuovo paradigma come riferimento: occorre convincersi che si dovranno investire più risorse finanziarie nel settore della difesa e della sicurezza. Vedremo.