Partinico-Cinisi: cento passi da colmare con pazienza e determinazione. Il cammino della cultura e della legalità è arduo, quei cento passi diventano un percorso infinito perché l’una meta sfugge all’altra. Da adolescente mi sono innamorato della figura di Ettore, perdente. Mentre il mio amico del cuore stravedeva per Achille, per la sua invincibilità se non per un piccolo particolare che lo condusse alla morte. Se ne lamentava con Ulisse quando discese negli inferi nella sua nékuia. Che ne facciamo della kléos, la gloria, se poi non possiamo godere della nostra vita? Non sappiamo l’età in vita di Achille, immaginiamo fosse nel fulgore degli anni, come Giuseppe, detto Peppino, Impastato. Non sono troiano e neppure avevo scelto di parteggiare per l’una delle due fazioni in guerra, denominata pónos da Omero, peso, sciagura, distruzione degli anni più belli di questi guerrieri eroi che credevano nella propria patria, la esaltavano e per lei combattevano, non per Elena e il suo eídolon, l’immagine, l’idea. Ettore ne era il simbolo, come Peppino. L’uno e l’altro minacciati dalla tracotanza del potere, del più forte, di chi crede di disporre del volere degli dei per bruciare e farne un deserto della vita altrui, di chi vuole erigere altari e sacrificare vittime agli dei sdegnati che il malcostume e l’illegalità, travestita da poesia, o da arbitrio, possano determinare la vita dei popoli. Se ci spostiamo dai campi di battaglia alle aule scolastiche combattiamo la stessa battaglia, per la verità, per i valori comuni, per il progresso sociale e civile, per la giustizia, e non per questo siamo chiamati a condividere le idee di un Ettore o di un Peppino o di quanti da diverse postazioni hanno innalzato il vessillo della normalità contro la strafottenza del potere illegale di chi delinque. Ettore, perdente consapevole, affronta Achille alle Porte Scee. Astianatte, il figlio terrorizzato dal pennacchio che oscilla minaccioso, siamo tutti noi che temiamo la sorte del nostro genitore ma un dovere più grande ci chiama: la difesa di un bene comune, la propria terra, la propria patria, la propria gente contro l’invasore, l’alieno che ci insidia nei gangli vitali attraverso l’inganno. Anche il destino di Peppino è segnato quando irride i boss locali sulle onde della sua radio che diventa strumento di denuncia, di sfida, di lotta all’ultimo sangue contro la illegalità. Peppino lo sa, lo sanno anche i genitori, il padre che lo disconosce e la madre che lo ha generato e che presto lo vedrà coperto dalla polvere. Quindi, cari studenti del Liceo di Partinico, noi siamo chiamati a reificare quel coraggio, quella testimonianza, quella determinazione, non necessariamente le sue idee. C’è un anelito di giustizia nelle sue denunce che va oltre di lui. Lo sente il suo dovere civico di lottare non per sé stesso, non per la propria vita ma per il progresso della società contro il malcostume e la prepotenza e il malaffare. Questa sua aspirazione è la nostra, quella di Ettore, di Peppino, di Falcone e Borsellino, di tutti coloro che compiono il proprio dovere quotidiano facendosi carico dei cambiamenti positivi e di sconfiggere il male che ci insidia. Cosa diremmo agli studenti che ci hanno preceduto e a quelli che seguiranno se con il nostro giudizio avremo cancellato non solo il nome ma la memoria di un gesto eroico e umano allo stesso tempo, che va oltre chi lo ha compiuto con onore e a testimonianza del fatto che è possibile costruire una società più giusta e soprattutto rispettosa della legalità? E’ questo che importa, in fondo. Non il fatto che Peppino Impastato sia divisivo ma che abbia sacrificato sé stesso per tutti noi!
*Nella foto in evidenza: Peppino Impastato