Gli oggetti e il loro potere, i social media e le loro ricadute, gli influencer e il potere di condizionamento. Una riflessione sulla società delle merci.
Oggi più che mai gli oggetti vincono. Il carattere seduttivo degli oggetti-feticcio non solo invade il mercato, serpeggia nei media, impregna i social media, ma soprattutto si insinua nell’anima, infesta le menti, avvolge i corpi, generando una forma di idolatria collettiva: sono le merci ad esercitare il potere, promettendo la salvezza attraverso il possesso dell’oggetto cult.
Gli influencer sono diventati i nuovi sovrani. Con i loro corpi alla moda, incoronati da oggetti, ammiccano un successo seducente. “Non avrò altro Dio all’infuori di te”, omaggiano i follower, sudditi affatturati di cui catturare la continua benevolenza. Per ogni dito pigiato sul like crescono fama e potere.
Nell’epoca dei consumatori-sudditi, la cura dell’immagine sostituisce la cura delle idee, dando vita alla società dell’apparenza, che naturalmente vuole apparire. Gli oggetti di consumo dettano regole di vita, mentre i sudditi si inchinano ammirati di fronte ai feticci aspirazionali.
Ne esce una società inzuppata del bisogno spasmodico di ammirazione, che fa della raccolta di gradimento popolare questione per cui impegnarsi sopra ogni altra considerazione. La competizione tra corpi adornati di oggetti si fa gara senza esclusione di colpi, gara di visibilità, di presenzialismo, che rendono i social palcoscenico prediletto.
Siamo in presenza di un’esponenziale evaporazione di sostanza, che sembra avere come conseguenza l’appiattimento sociale: gli oggetti-immagine prendono il posto dei contenuti-idee-valori. E la vita si sgonfia.
La questione è che siamo carne predisposta alle dipendenze, la nostra influenzabilità diventa miseria umana. Finiamo facilmente per dipendere dalle cose, dalle sostanze, dalle persone, dalle cattive abitudini. È semplice cadere in trappole di varia natura, in parte perché siamo spasmodicamente tesi ad ottenere ciò che riteniamo necessario per completare noi stessi, per sentirci in pace, per garantirci l’appartenenza al gruppo, anche se solo per un breve momento. Così finiamo per darci in preda alle illusioni. Saremmo già completi, interi, ci insegna la filosofia orientale, ma ce ne dimentichiamo, non lo percepiamo, ci sentiamo mancanti, feriti, mozzi, tanto da sentire indispensabile un sostegno, meglio un modello, al fine di riuscire a recuperare un po’ di bellezza. Ed allora, entriamo in gara.
C’è, però, chi non riesce a stare al pari, al passo, sostanzialmente sul “mercato”. La sua vita non vince, così abbandona il campo: si isola. Questo lo sgambetto della vita che si chiude alla vita, dove l’isolamento non racconta una scelta maturata, quanto piuttosto una scelta subita. E’ la condanna di molti giovani, denuncia di una ferita, condizione dettata dal naufragio di una mente logora, conseguenza di una vita che scende dalla giostra pur desiderando un altro giro di giostra. L’isolamento diventa prigione, ma, ironia della sorte, è anche rifugio dove leccarsi le ferite. Uscire dalla tana che ricovera, rischia di essere operazione non facile.
Nel deserto dell’implosione culturale dei nostri tempi, c’è da chiedersi quanto durerà l’illusione dell’oggetto feticcio. Il potere di condizionamento dei nuovi sovrani scalzerà sulla lunga il riferimento ad un mondo di valori condivisi? Come arginare la dinamica dell’emulazione che svuota le menti di un pensiero critico? Perché se è vero che trattasi di una normale fase dello sviluppo dell’infanzia e per certi versi anche dell’adolescenza, oltre queste due età, emulare è indicativo di un profondo sentimento di solitudine, dell’incapacità di accettarsi per come si è, di una dolorosa inadeguatezza nell’espressione autentica di sé.
Rinunciare ai mezzi informatici è pressoché impossibile, pena l’esclusione sociale, ma tenerne a mente le implicazioni è d’uopo: i mezzi informatici incidono moltissimo sui processi cognitivi ed emotivi, fungendo da veri e propri condizionatori del pensiero, arrivando a modificare il modo di pensare, trasformandolo “da analogico, strutturato, sequenziale e referenziale, in generico, vago, globale, olistico”, come ben suggerisce Umberto Galimberti. Avvicinando il lontano e allontanando il vicino, alterano il modo di fare esperienza del mondo, creando un contatto non tanto con il mondo ma con la sua rappresentazione.
Ci sono innumerevoli connessioni sinaptiche nel cervello, che hanno il compito di adattarsi alla complessità della vita, ottimizzando le possibilità di sopravvivenza, ma tali connessioni neurali sono modellate in funzione di ciò che rincorriamo, mettiamo in atto, pensiamo, incarniamo. Scegliere chi vogliano essere comporta, allora, una riflessione sulle proprie abitudini e azioni, sui propri gesti, comportamenti, pensieri. Tu a che punto sei?