Il 4 febbraio Facebook, la piattaforma inventata da Zuckerberg, ha festeggiato il suo ventesimo compleanno, avendo esordito nel 2004 ad Harvard negli Stati Uniti in ambito universitario con il nome TheFacebook, per arrivare poi in Italia nel 2008.
In vent’anni di attività si è evoluta e innovata fino ai nostri giorni in cui ha perso l’esclusiva di principale social media. Negli anni, infatti, è venuta meno la sua unicità di social a favore di nuove piattaforme (come TikTok e Instagram) che hanno sviluppato caratteristiche e funzioni più adeguate alle esigenze dei tempi, alle aspettative dell’utenza e alle performance della tecnologia digitale. In questi venti anni è anche cambiata la sua filosofia e si è specificata la sua utenza.
Facebook è stato il mezzo che ha rappresentato e favorito il passaggio alla “dimensione social”, offrendo una sorta di palcoscenico per raccontare la propria vita fatta di quotidianità e di banalità. Le funzioni iniziali di Facebook erano standard: connettersi tra amici, ritrovare vecchi compagni di studi, condividere qualche foto scattata rigorosamente con macchine digitali perché gli smartphone ancora non esistevano. Vi erano messaggi scambiati sulle bacheche sotto gli occhi di tutti, nessuna possibilità di reazione o commento alle foto, vi erano i mitici quanto inutili “poke”. Ma è così che inizia a farsi strada la prima finestra globale su vite e pensieri altrui, che vengono condivisi, almeno in una fase iniziale, in modo leggero, quasi per gioco. Forse nessuno ancora pensa che sia lo strumento che, in tempi brevi, cambierà irreversibilmente non solo il modo di comunicare ma anche il modo di vivere, mettendo le basi per quella ulteriore evoluzione che va sotto il nome di Intelligenza Artificiale. L’aspetto di novità e di divertimento all’inizio non fa pensare ad un cambiamento epocale, e non ci si pone neppure il problema della privacy, tanto gli utenti sono pochi.
Pian piano, quindi, le abitudini e gli stili di vita, soprattutto per quanto riguarda la visibilità personale, iniziano a cambiare. Tra i primi sintomi vi è una sottile pressione a postare, pubblicare, scrivere, raccontare in tempo reale. Dalla pubblicizzazione di eventi speciali si passa al costante assillo di rendere visibili tutte le vicende quotidiane della propria vita. E’ l’ora delle relazioni che la sociologia definisce “deboli” (quelle che una volta si definivano “semplici conoscenze” o legami virtuali) a cui si inizia a dedicare sempre più tempo.
Gli esordi di Facebook sono caratterizzati da uno spirito romantico. Alimenta le relazioni tramite “navigazione”, modalità congeniale all’alba del terzo millennio. I giovani impazziscono per questa piattaforma fino a quando non viene scoperta dagli adulti e, quindi percepita come luogo di controllo, perdendo quel senso di libertà e potenzialità relazionale, tanto da spingere le nuove generazioni verso piattaforme più centrate sull’intrattenimento (e meno frequentate – e controllate – dagli adulti).
Restando in campo romantico, il social offriva una modalità di ricongiungimento al proprio passato, fatto di amicizie e conoscenze che negli anni si erano perse o affievolite, per poi scoprire che il ritrovarle non garantiva che si ricostruisse il legame di venti o trent’anni prima, destinate quindi a perdersi nuovamente, e questa volta forse per sempre.
Intanto si scopre il piacere di “guardare” gli altri, le loro vicende, foto, pensieri, scatenando – in base all’indole personale – il fenomeno dei “leoni da tastiera”.
Del resto il suo utilizzo più usuale diventa quello di divertirsi e fornire informazioni (“usi non sociali dei social media”, come dicono i sociologi), e conoscere profili di persone con cui ci si approccia nel presente (anche per motivi professionali), per tastare il terreno in vista di incontri più o meno seri, insomma per socializzare.
La sua trasformazione in ambiente della rete con ampliamento di funzioni espone al rischio del cyberbullismo e delle fake news, diminuendo la dimensione empatica e relazionale che l’aveva caratterizzato agli esordi.
Da antesignano di quel “mondo senza tempo”, si è dimostrato utile nell’assecondare i bisogni della socialità, contribuendo alla costruzione del sé nell’ambito della comunicazione con gli “amici”, scambiandosi informazioni, risorse e applicazioni, e incrementando l’autostima a colpi di like.
La novità di essere strumento per raccontare se stessi, magari in una sorta di delirio narcisistico, si è trasformato poi in strumento relazionale, particolarmente utile come organizzatore sociale. E’ vero che ha sostituito in parte il luogo dove darsi appuntamento e incontrarsi “in presenza” (come si precisa ora), ma ha anche favorito il ravvivarsi di antiche amicizie che evolvono in uscite normalmente di natura gastronomica con la condizione di fare e postare foto altrimenti è come se l’evento o la rimpatriata non avessero avuto luogo.
Con Facebook è cambiato anche il profilo spazio-temporale della vita: se è agevolato il contatto con chi è dalla parte opposta del globo, viene meno o è ostacolato il contatto con i familiari con cui si sta pranzando.
Il problema è l’uso senza consapevolezza dei rischi o il tempo dedicato che supera le normali “dosi” di tempo libero, soprattutto se si considera che la piattaforma ha tante potenzialità.
Si sono inoltre aggiunti oggi anche i risvolti commerciali perché alcuni servizi sono accessibili solo tramite questa piattaforma. Tante realtà commerciali o associative anche di terzo settore non hanno più un sito web, che richiedeva una manutenzione, un informatico, dei costi, ma hanno la pagina Facebook.
Possiamo concludere che Facebook, con i suoi due miliardi di utenti attivi nel mondo e i suoi ventotto milioni di italiani, indubbiamente resiste ancora. Forse ha perso il fascino della novità iniziale per essere considerato come una presenza scontata. Lungi dall’essere obsoleto, mantiene quindi la sua centralità nell’ecosistema delle piattaforme, dove ha saputo individuare la sua nicchia resistendo alla competizione dei concorrenti, che gli devono riconoscere il merito di aver aperto una nuova strada introducendo un cambiamento culturale epocale.