Incentrata sull’abuso di potere e sugli stati post-traumatici, la performance è l’esito di una ricerca che affonda le sue radici in un Sud antico e rurale, che fa da sfondo a guerra e miseria: è qui che si riapre una “ferita universale”.
Dopo il successo della sua interpretazione in Kassandra, l’attrice e performer Roberta Lidia De Stefano (Menzione d’onore del Premio Duse 2022 e Premio Mariangela Melato 2023) presenta al Teatro Arena del Sole di Bologna (Sala Salmon) dal 13 al 25 febbraio Di Grazia (la voix du patron), un nuovo allestimento in prima nazionale, realizzato insieme al coreografo francese Alexandre Roccoli con cui condivide l’ideazione, la regia e la drammaturgia.
Lo spettacolo, che rientra nel Focus Lavoro di Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale è una produzione ERT, A short term Effect / Espace des Arts, Scène Nationale.
De Stefano e Roccoli costruiscono un assolo evocativo, una sorta di “operetta rurale” a partire dal racconto di una donna della Ciociaria, una lavoratrice povera e senza scelta. Lo spettacolo nasce da un recupero etnomusicologico dei canti popolari del Sud Italia, legati ai movimenti e ai gesti di lavoro. I due artisti attingono dal loro comune immaginario, che li riporta ai rispettivi luoghi d’origine, immersi in grandi tradizioni e contraddizioni, governate da un Dio indubbiamente Maschio, Padre e Figlio.
Come potrà dunque reagire, l’unica figlia femmina di una famiglia patriarcale, quando alla morte del padre scoprirà di non aver ricevuto nulla in eredità? Neppure la casa, che un tempo si lasciava in dote alla “fimmina”, non ancora presa in sposa?
Da qui inizia il viaggio “a corpo aperto” di Rosetta, questo il nome della protagonista, che neanche fuori dal nucleo famigliare troverà migliore fortuna; continuerà infatti a lavorare la terra come ha sempre fatto, ma sotto un altro padrone e senza alcun diritto: lamentarsi con le altre braccianti delle condizioni di lavoro e degli abusi dei caporali le costerebbe molto caro.
«Questo è il destino delle lavoratrici (italiane e straniere) – scrivono De Stefano e Roccoli – che raccolgono i nostri pomodori, le nostre arance, le nostre fragole nelle terre bagnate dal Mediterraneo: la mattina, sul furgone, il caporale mette caffè e brioche vicino al volante. – Come si può leggere in Oro rosso della giornalista e fotografa Stefania Prandi – Se ti siedi davanti e non li prendi, ma ti compri la colazione da sola, significa che rifiuti la sua offerta. Chi prende la colazione invece, accetta di andare con lui, se rifiuti di fare sesso, il giorno dopo lui ti lascia a casa».
Il silenzio in cambio del posto di lavoro, come viene riportato dall’Osservatorio Interventi Tratta, organismo che si occupa di monitorare il fenomeno della tratta di esseri umani in Europa: «Iniziano a radunarsi alle quattro del mattino, tra loro vengono selezionate le più graziose. Ma perché scegliere le lavoratrici su una base estetica e non per la loro forza fisica? Il motivo è semplice: queste ragazze animeranno le serate dei padroncini e degli amici produttori. E di notte, nel silenzio complice di intere comunità, nei casolari sperduti, si consumano i ‘festini agricoli’ a sfondo sessuale, dove le lavoratrici guadagnano 10 euro in più rispetto alla magra paga di 20 euro. Nessuno sa, nessuno vede. E nella promiscuità di questi casolari molte vengono violentate e alcune rimangono incinte».
Qui la voce è uno strumento politico, così come il corpo è sia un “campo di lavoro” che un “campo di battaglia”, a sottolineare l’amara intersezionalità del dittico “lavoro-guerra”. Le parole e i silenzi si svuotano lasciando spazio ad una partitura che ricorda le crisi nervose delle “tarantolate”, sino a rendere la protagonista, quasi un “automa bressoniano”.
«Di Grazia (la voix du patron) è una catartica epurazione di emozioni – concludono De Stefano e Roccoli – una tragedia nel suo senso primario. Nell’opera tutto concorre a restituire dignità e quindi Voce, a un capro espiatorio, a una prigioniera della sua Persona (maschera). Il milieu di disgregazione socio-familiare sommato alla sua condizione, la vorrebbe “sgraziata” per sua colpa. Ma il fatto di essere una diversa, una révoltée, non è legato solo all’essere ultima tra gli ultimi, ma anche alla di(s)grazia di essere nata donna in un mondo ancora oggi, troppo a misura d’uomo».
*Tutte le foto contenuto nell’articolo sono di Serena Serrani
Fonte: Ufficio stampa ERT / Teatro Nazionale c/o Teatro Arena del Sole