La cronaca ci racconta quotidianamente di furti e/o rapine in esercizi commerciali e abitazioni che vedono le vittime reagire con conseguenze anche tragiche.
Ricordiamo il caso del gioielliere di Ercolano, ad oggi accusato di eccesso di difesa, il quale reagendo ad una rapina cagionava la morte dei due malviventi mediante arma da fuoco da lui regolarmente detenuta; o ancora, il caso dell’imprenditore bergamasco che sparava e uccideva un albanese intento a rubare la sua auto parcheggiata nel cortile di casa: per lui il secondo grado ha confermato il verdetto di colpevolezza con condanna a sei anni di reclusione; da ultimo, il caso del pensionato di Vaprio d’Adda che uccideva un 28enne rumeno introdottosi furtivamente nella propria abitazione.
Ci chiediamo: sino a che punto la “vittima” può spingersi per difendere sé stesso ed i suoi beni? Ossia, quando la controffensiva è qualificabile come “reazione legittima”?
Com’è noto, l’ordinamento giuridico ammette una reazione, che dovrà però essere “inevitabile” e “proporzionata” all’aggressione.
Perché la difesa possa essere legittima, deve sussistere “il pericolo attuale di offesa ad un diritto”, la “necessità della difesa”, l’”inevitabilità altrimenti o costrizione”, la “proporzione tra offesa e difesa”. Superando tali limiti, la difesa sarà eccessiva e quindi penalmente rilevante.
E’ pure vero che di recente la legge ha “tentato” di definire meglio il cosiddetto “rapporto di proporzione”, introducendo una presunzione assoluta di proporzione tra difesa e offesa.
Tale intervento legislativo, nell’affrontare il tema di difesa legittima c.d. abitativa, recita testualmente: “Chi usa un’arma legittimamente detenuta contro il soggetto che ha violato il privato domicilio per difendere la propria o altrui incolumità oppure i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione, non sarà più punibile”. Si ricorda che le nuove disposizioni troveranno applicazione anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.
Vale a dire che la difesa sarà legittima nei casi di:
– violazione dell’art. 614 c.p. che punisce con la reclusione chiunque s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con l’inganno.
– legittima presenza da parte di chi esercita la legittima difesa in uno dei luoghi indicati nell’art. 614 c.p. e nel co. 3 dell’art. 52 c.p ossia i luoghi ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale;
– utilizzo di un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo;
– finalità di difesa della propria o altrui incolumità, ovvero di beni propri o altrui, sempre che vi sia pericolo di aggressione e non vi sia desistenza da parte del soggetto verso cui si esercita la difesa.
In tal modo, si è tentato di risolvere il dilemma, che possiamo semplificare (forse banalizzando il concetto) come segue: la vittima può difendersi nell’immediatezza del pericolo, ma non quando il malvivente si sia già messo in fuga o abbia già in altro modo dimostrato di rinunciare alla condotta criminosa.
In conclusione, pur comprendendo le ragioni di una tale disciplina, ci permettiamo di evidenziare come, in quel momento di pericolo, non sarà semplice per la vittima svolgere un’attenta e lucida valutazione della “proporzionalità” e della “inevitabilità” della sua reazione.
Sarà l’Autorità giudicante a dover tenere conto di questo aspetto.