E’ assai frequente, e tutti noi ne siamo consapevoli, che il valore di grandi personaggi italiani, presenti nei più svariati campi, venga riconosciuto solo postumo. Ma non è da meno anche il caso contrario, ovvero quello di personaggi che godevano del riconoscimento del loro valore in vita e che vengono repentinamente dimenticati dopo la loro morte. La letteratura offre un vasto elenco di esempi, ma qui l’oblio non è casuale. Alcuni autori che in vita ottennero vasta fama e ampio riconoscimento del valore delle loro opere, sono volutamente oscurati da una forma di elitarismo intellettuale che li fa ritenere un fenomeno passeggero e di scarsa importanza cultuale. Il riferimento è agli autori di quello che è stato echitettato, spesso spregiativamente,”Romanzo popolare”.
Uno dei personaggi più emblematici in questo senso è sicuramente Luigi Natoli, autore di oltre 25 romanza popolari, quasi tutti ambientati nella Sicilia del XVII e XVIII secolo.
A fargli acquisire fama e prestigio fu il romanzo “I Beati Paoli”. Ambientato nella Palermo del ‘700, narra di una setta segreta di giustizieri che, formata da artigiani, marinai, forensi, borghesi e soprattutto dal glebo, combatteva le ingiustizie prodotte dai poteri forti dell’epoca, nobili e Tribunale dell’inquisizione. L’intreccio delle vicende è classico dei romanzi d’appendice, ma ciò che lo caratterizza, e che caratterizza anche tutte le sue opere, è la fedele ricostruzione di avvenimenti, circostanze, ambienti e toponomastiche, dovute al fatto che Natoli, oltre ad essere un romanziere, era, insieme a Giuseppe Pitrè, uno dei più grandi storici della Sicilia.
Le avvincenti e intrigate storie delle sue opere, infatti, altro non sono che trasposizioni di avvenimenti realmente accaduti che l’autore racconta in forma romanzata, ma spesso corroborati da note nelle quali fornisce indicazioni dei documenti storici da cui ha attinto le informazioni sulle quali ha costruito dialoghi e vicende.
I suoi romanzi, pubblicati a dispense dal Giornale di Sicilia, erano firmati con lo pseudonimo di William Galt, mentre in altre collaborazioni utilizzò quello di Maurus. Probabilmente un sistema di autodifesa visto che molti dei personaggi che includeva nei suoi romanzi erano reali e le famiglie discendenti, ancora molto potenti ai suoi tempi, avrebbero potuto non gradire alcune scomode verità storiche che lui certo non risparmiava nei suoi scritti.
Romanzi avvincenti, ma con un fondamento di verità storica, che appassionano e che si muovono su un solido terreno di conoscenze storiche e di dirittura morale e onestà intellettuale, che caratterizza non solo il romanziere ma anche l’uomo. Leonardo Sciascia ebbe a dire, a questo proposito, che “il romanziere William Galt era il grande nemico dello storico Luigi Natoli”.
La sua stessa vita privata, infatti, è un vero romanzo.
Nato a Palermo il 14 aprile 1857, ove si spense nel 1941, era figlio di un agiato funzionario del Regno borbonico, ma in famiglia si respirava aria risorgimentale. Già a tre anni fu rinchiuso insieme a tutta la sua famiglia nelle carceri palermitane della Vecchia Vicaria, mentre tutti i loro beni furono dati alle fiamme. La madre, alla notizia dello sbarco di Garibaldi a Marsala, aveva fatto indossare ai figli la camicia rossa garibaldina e le autorità borboniche non avevano gradito il gesto.
Fu l’inizio di una serie di problemi economici che l’accompagnarono per il resto della sua vita. Problemi che avrebbe potuto evitare, se solo si fosse piegato ai poteri forti. Ma il Natoli uomo, così come i personaggi dei suoi romanzi, non si piegò mai. E così, spesso, rinunciò agli agi che gli offrivano per rimanere fedele ai suoi principi.
La sua formazione culturale, classica e profonda, fu il frutto di studi privati e autodidatti. Già a 17 anni cominciò a collaborare con vari giornali e a 23 ottenne l’abilitazione all’insegnamento dell’italiano nei ginnasi. Fu professore in vari licei italiani, ma non interruppe mai l’attività giornalistica che lo vide anche redattore del romano “Capitan Fracassa” e che, con il Giornale di Sicilia, durò ben 65 anni.
Straordinaria la sua produzione giornalistica e letteraria, mentre la sua attività di storico maturò con la pubblicazione di una “Enciclopedia della Sicilia” che gli fece acquisire grande fama.
Rimasto presto vedovo e con cinque figli, sposò in secondo nozze Teresa Ferretti, una donna tanto bella quanto intelligente, che tenne testa in fatto di eleganza addirittura a donna Franca Florio e che gli dette altri 10 figli. Una famiglia numerosissima che richiedeva una grande impegno lavorativo al quale aderiva volentieri. Quattordici ore di lavoro quotidiano, suddiviso tra insegnamento, studi storici, pubblicazioni letterarie, non gli impedirono di dedicarsi all’estensione di romanzi popolari, nei quali traspare il suo immenso amore per la terra di Sicilia e la sicilianità. Oltre a I Beati Paoli, successi letterari vengono colti dal nostro autore con Calvello il Bastardo, Coriolano della Floresta, Cagliostro, La vecchia dell’aceto, La Dama Tragica, I Vespri Siciliani, Il tesoro dei Ventimiglia, Mastro Bertucchello, Fra Diego La Matina. Proprio su quest’ultimo si racconta un episodio che riassume la dirittura morale del Natoli. Sul letto di morte un prelato inviato dalla Curia gli chiese di ritrattare il contenuto del romanzo, che raccontava di un frate finito al rogo a seguito di sentenza del Tribunale dell’Inquisizione per avere combattuto le atroci prepotenze del clero manovrato dai dominatori spagnoli, in cambio della cancellazione di tutte le sue opere dall’indice delle letture proibite. Con un fil di voce, l’autore morente rispose che “la storia non si può ritrattare o coprire con un velo. Ed un tale potere non l’ho né io né il Papa”.
Non fu l’unico fatto eclatante della sua vita. Quando il regime fascista cercò di lusingarlo per cooptarlo tra gli intellettuali compiacenti ebbe il coraggio di rifiutare la “Commenda” offertagli da Mussolini, ottenendone in cambio il licenziamento dal liceo dove insegnava e il pensionamento per “incapacità”. Natoli, ovviamente, non si ritirò in pensione e, ritornato a Palermo, riprese ad insegnare nel liceo privato di un suo ex e devoto allievo.
Molti furono gli allievi che da lui appresero la coerenza di pensiero e di azione, l’autonomia di giudizio, l’onestà intellettuale e il rispetto degli altri e della lealtà che il maestro, da vero mazziniano, trasmise anche alla sua famiglia. L’opportunismo non entrò mai a casa sua dove, tra i suoi numerosi figli, vi furono fascisti, repubblicani, anarchici, marxisti, tutti animati da puro idealismo e passione politica.
Le sue opere, riproposte negli ultimi decenni dall’editore Flaccovio, continuano a mietere successi.
Al silenzio dell’aristocrazia intellettualoide dei nostri tempi fa eco quanto profeticamente scritto dall’editore palermitano La Guttemberg nel 1930, quando rivelò il nome di chi stava dietro lo pseudonimo di Wiiliam Galt: “. . . i suoi romanzi storici sono lo specchio delle sue doti: in essi vi è la fantasia mobile e varia del poeta, l’osservazione dello psicologo, l’erudizione dello storico e la potenza efficace dello scrittore. Ecco perché piacciono e piaceranno!”.
(Nella foto in evidenza: Luigi Natoli)