Annibale e’ veramente di nuovo alle porte anche se questa volta senza elefanti ne lance. L’invasione dell’Europa è da tempo in atto ed arriva dalla Libia. La comunità internazionale, divisa e come sempre poco coesa a causa di insanabili divisioni, sta cercando di fare qualcosa per comporre la questione libica rimasta aperta dopo l’uccisione di Gheddafi, ma non ci riesce. Manca una potenza leader di riferimento capace di imporre delle scelte. Una volta c’erano USA ed URSS a dividersi questo ruolo, oggi non più.
E lo vediamo proprio in questi giorni. Bernardino Leon, funzionario ONU e rappresentante speciale di Ban Ki Moon per la crisi libica, è in grande difficoltà. Nei colloqui di Casablanca dove si cercava un accordo, il governo di Tobruk, quello riconosciuto, ha rifiutato l’ipotesi ONU di composizione della vertenza con la controparte (l’autoproclamato governo libico di Tripoli) per la creazione di un governo di unità nazionale. Niente intervento ONU o UE quindi, perché senza un referente governativo in Libia, che abbia capacità giuridiche internazionalmente riconosciute nulla si può fare. Via libera quindi agli scafisti che potranno continuare a gestirsi nel presente clima di caos che vede da un lato le potenze europee impegnate nel salvataggio dei profughi in mare, dall’altro l’UE indecisa sul da farsi per la ripartizione dei migranti nei vari paesi e, a latere, l’Italia obbligata a farsi carico di tutto.
Con le navi militari dei partner europei abbiamo salvato sempre più vite umane ma abbiamo, allo stesso tempo, aumentato gli arrivi nei nostri porti, senza aver minimamente adeguato le nostre già insufficienti strutture per l’accoglienza.
Niente da fare anche per il ricollocamento dei 24.000 profughi ancora ospitati in Italia e desiderosi di raggiungere le mete del Nord Europa per i quali a livello europeo si era ipotizzata una soluzione di ripartizione nei vari paesi. Il presidente della Commissione Europea Juncker aveva inserito questo provvedimento nell’agenda del prossimo consiglio europeo del 16 giugno. Ma si sa già che lì non si deciderà nulla a causa del chiaro rifiuto di Francia, Gran Bretagna, Ungheria e Spagna, di accogliere altri immigrati nel loro suolo.
E’ questo uno smacco significativo per la politica estera italiana in tema di immigrazione, una doccia fredda sulle aspettative del nostro premier (e del suo governo) che, alla fine del G7 tenutosi nei giorni scorsi in Germania, aveva dichiarato addirittura che i 24.000 profughi da ripartire nei paesi europei in provenienza dall’Italia non erano sufficienti. Secondo Renzi se ne dovevano ripartire di più attingendo dall’inesauribile serbatoio dei centri di prima accoglienza della penisola.
Ora siamo sicuri che i 24.000 di cui pensavamo di esserci liberati rimarranno in Italia e che altre svariate migliaia arriveranno nelle prossime settimane, cortesemente accompagnati nei nostri porti dalle navi europee.
L’Italia è in mezzo ad un fiume in piena inarrestabile e non riesce a guadagnare le sponde. La nostra politica di accoglienza, a 360° e indiscriminata, ci si sta rivolgendo contro.
Le richieste italiane di ripartizione degli immigrati non hanno trovato nessuna sensibilità concreta a Bruxelles.
Ed allora è urgente ma anche indispensabile che il nostro governo riveda la propria posizione, non ci sono speranze di allontanare dalla nostra quotidianità questo fenomeno migratorio.
L’Europa ci invita a fare la nostra parte, autonomamente, come il mondo si aspetta da un grande paese ricco di cultura di storia di capacità e di possibilità economiche. Non siamo poveri ed il tenore di vita che il Paese si sta ancora permettendo lo dimostra.
Come grande nazione proiettata da sempre nel Mediterraneo abbiamo sicuramente il dovere morale di accogliere questi esseri umani e siamo in grado di farlo, se lo vogliamo, ma servono nuove regole e un nuovo approccio all’accoglienza, più ordinato, più determinato, ovviamente basato su norme precise, tutte da rispettare. Il governo deve dimostrare coraggio, battere veramente i pugni sul tavolo a livello europeo, certo. Ma a livello nazionale, senza indugi e senza temere impopolarità nell’elettorato – così di dovrebbe governare – accentrare nelle sue mani e nella sua diretta responsabilità tutte le attività connesse alla complessa gestione del fenomeno migratorio che opprime il nostro paese. Un commissario “ad acta” supportato da una idonea struttura intergovernativa, ovviamente con pieni poteri, potrebbe rappresentare una prima soluzione. Non c’è più tempo, secondo recenti stime un milione e mezzo di clandestini preme sulle nostre coste meridionali.