Gli incidenti stradali del 4 e del 6 agosto scorsi hanno funestato la SS16 Adriatica, attraversata dai furgoni dello sfruttamento e della morte dal ghetto di Rignano Garganico ai campi e viceversa, con il sangue di 4 braccianti agricoli stranieri, il primo, e di 12 il secondo.
Una condizione fin troppo nota alle autorità, tanto che il Parlamento aveva approvato la legge contro il caporalato, la numero 199 del 2016. A cui però non era seguito alcun comportamento conseguente per assicurare condizioni dignitose ai neo schiavi dell’oro rosso, come viene definito il pomodoro, in termini di alloggi decenti e di trasporti pubblici per togliere la gestione del lavoro nero ai cosiddetti caporali. Gli imprenditori agricoli lasciano gestire a queste figure la tratta del lavoro, non preoccupandosi delle loro condizioni di vita e di lavoro. La Regione Puglia, per bocca del suo presidente Emiliano, ha denunciato che i fondi per finanziare il trasporto non vengono richiesti dai proprietari delle campagne, ma non si è preoccupato di inviare ispettori e di promuovere un tavolo per impostare condizioni di lavoro dignitose. Michele Placido, regista e attore, originario della zona, ha espresso solidarietà alle vittime e la volontà di partecipare ai loro funerali, paragonandoli ai martiri del lavoro, anche se qui non si tratta di professare o abiurare una fede.
Il Ministro dell’Interno Salvini ha incontrato una delegazione di braccianti, ha stretto loro le mani, ha promesso di intervenire chiudendo il ghetto di Rignano, ma non si è chiesto da dove venissero quei braccianti neri, che sono regolari. E se non lo fossero stati sarebbe cambiato qualcosa? Quanti italiani ci sono fra di loro? Nessuno, a parte qualche bracciante salentina morta poco tempo anno fa sfinita dal sole delle campagne pugliese. Ricordiamo Paola Clemente e Giuseppina Spagnoletti. Qualcuno ha paragonato questa strage alla tragedia di Marcinelle dove perirono 132 minatori italiani in Belgio. Non è mai accaduto che avvenissero incidenti così gravi a lavoratori italiani. Ora dove sono tutte quelle voci del coro che si sono sgolate per fermare le navi in mare e chiudere i porti? ‘Pietà l’è morta!’, cantava una celebre canzone italiana. Eppure la denuncia era già partita e documentata dal bellissimo e drammatico documentario ‘Santi Caporali’, del 2016, di Giuseppe Pezzulla, che aveva visitato per la prima volta – come chiarisce in una nota il regista salentino – la tendopoli di Rignano Garganico nel 2014: “L’impatto è stato così orribile che all’inizio ho soltanto faticato a digerire la vista di tutta quell’indigenza. Ci ho pensato per circa un anno…” Pezzulla racconta la storia e i sogni di Yvan, Gora e Bouacar, arrivati in Italia con la speranza di cambiare vita grazie a un lavoro dignitoso e poter mettere da parte i soldi per sostenere la propria famiglia in Africa. I fotogrammi impietosi ritraggono la condizione di semi- schiavitù a Rignano Garganico, un immenso campo di pomodori in provincia di Foggia. Santi Caporali documenta la condizione disumana dei braccianti stranieri, le controversie tra caporali bianchi e neri, l’assenza delle istituzioni e della politica, l’impegno pietoso di associazioni e parrocchie che si adoperano per alleviare la condizione disumana e che denunciano, voces clamantes in deserto, questo mercimonio sperando nell’integrazione come possibile soluzione per porre fine a questo scandalo.