
Non sforziamoci di comprendere la mentalità americana. Ovvero del Nord America, degli Stati Uniti insomma. Siamo molto diversi perché arriviamo da esperienze storiche assai diverse.
Se è pur vero che i primi coloni del XVII secolo, i Padri Pellegrini e chi fu al loro seguito, giungevano da una forma mentis nordeuropea, cattolica, anglicana e calvinista, ma non latina, è altrettanto vero che chiusero con il loro passato storico perché li aspettava un futuro assai impegnativo, dove tutto, mentalità e costumi, sarebbe stato ricalibrato o reinventato. Fu così che la Rivoluzione Francese e l’Illuminismo pervennero ad essi in modo filtrato e attutito dagli eventi di primordiale necessità che dovevano affrontare. Per questi colonizzatori si apriva infatti una nuova era di entusiasmo, di speranze, ma anche di sfide, di privazioni e di violenza. Avevano fame, avevano necessità di benessere, di libertà, di spazi vitali e per ottenerli invasero terre selvagge piene di rischi, conquistarono, occuparono, uccisero i nativi. Nel fare ciò, in una mano tenevano la Bibbia e nell’altra impugnavano la Colt. Ma non possiamo per questo rimproverarli o giudicarli. É la natura umana, sempre in cerca di risorse per vivere, per migliorare, per dare benessere alla prole. Così è sempre accaduto e accadrà in tutto il mondo, oggi e sempre. La natura non è buona, è giusta. Dove per giustizia la Natura intende unicamente la sua continuità e sopravvivenza mediante il più forte che soverchia il più debole. E l’uomo fa parte della Natura. Alle sensibilità buoniste questo non piacerà, ma coloro che le perseguono se ne facciano una ragione. Prima le tribù di pellerossa si scannavano fra loro per terreni e bisonti, poi hanno cominciato a scannarsi con le giubbe blu. Poi le giubbe blu hanno cominciato a scannarsi con quelle grigie nella guerra civile. Guerra per nobili ideali? Forse. Guerra per interessi economici? Forse anche. Ma con questi eventi gli americani hanno inserito nel loro DNA il nucleotide del più forte. Dove il più forte, a bocce ferme, deve garantire le libertà, deve assicurare l’eguaglianza, deve trasmettere la democrazia. Tuttalpiù, l’errore che possiamo rimproverare agli americani è quello di voler esportare la libertà, l’eguaglianza e la democrazia presso popoli che mai e poi mai, o almeno nei prossimi secoli, l’accetteranno.

Questo coacervo di scampoli della vecchia Europa ha dunque maturato in sé una nuova e forte identità crescendo fra mille peripezie. È una realtà forse rude, forse assolutista o decisionista, pur nel rispetto della democrazia, ma se anche formata da cinquanta stati, nel momento del pericolo è capace di stringersi sotto un’unica bandiera, di mettere in azione il tutti per uno, di dissentire ma non di boicottare la parte che sta governando. È un popolo con poche regole, poche leggi, molte libertà, grande pragmatismo, alta determinazione e capacità organizzativa. Arriva persino ad assolvere i facinorosi che tentarono di aggredire il Campidoglio, ma ti condanna se hai detto una bugia al popolo. Quel popolo che crede nell’ eroe il quale, uno per tutti, risolve, salva, trova la sintesi, fa vincere il giusto e il buono sventolando stelle e strisce. Sarà ingenuità? Sarà ottimismo? Ma così è la loro anima.
Noi siamo diversi. Noi europei tolleriamo benissimo le bugie. Soprattutto noi mediterranei. Gli arabi sono mentitori storici, e qualcosa durante il loro dominio lo abbiamo pur assorbito. Una volta chiuso il capitolo dell’Impero Romano, noi del Sud Europa siamo divenuti popoli incapaci di aggredire perché ci siamo barricati e abbarbicati, giocando sempre in difesa. In difesa da aggressioni arabe, barbariche, straniere, dove eravamo costretti a fuggire, nasconderci, piatire, supplicare, trattare, mediare, genufletterci, obbedire. Prendiamo il caso della nostra Italia. Di suprema cultura, di antica saggezza, arte e bellezza maturate con l’Umanesimo, sbocciate con il Rinascimento per arrivare all’apoteosi nell’Illuminismo, abbiamo stemperato tutto negli arzigogoli del bizantinismo, dei distinguo, delle formalità, della burocrazia, del nepotismo, dell’eterna e inconcludente trattativa dove la preferenza è decidere di non decidere, sì da far miseramente ammuffire progetti e speranze. Poi ecco le dissidenze interne, le congiure di palazzo, le eterne divisioni in Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri, partiti, partitelli, fazioni, dissidi, petulanze, furbizie, risse in ogni dove nella gestione della res publica. Quindi la derisione o le controversie sulla nostra Storia passata, con ancora vivi i risentimenti dei nostalgici borbonici o la negazione di chi combatté la guerra civile dalla parte dei vinti. Una nazione mai unita, sempre in polemica, dal Governo fino alle riunioni di condominio. Un popolo, il nostro, che si pasce nell’eroismo dell’antieroe, di colui che vive di espedienti, che si imbosca, che tradisce per un tozzo di pane. Siamo come i nostri film, dove non c’è mai l’eroe ma il piagnisteo, la miseria, la furbizia, la resa, la crisi della coppia, l’incomunicabilità, il disagio sociale…
Aveva ragione Montanelli: “se esci da un cinema e vedi un bambino che sta per essere investito da un’auto, i casi sono due: se hai appena assistito ad un film americano ti butti e rischi la tua vita per salvarlo. Se hai visto un film italiano, lo abbandoni al suo destino”.
Il simbolo americano è stato, e probabilmente lo sarà per sempre, John Wajne. Il nostro è, e continuerà ad esserlo, Alberto Sordi. Il che la dice tutta.