Ognuno è diverso, unico ed irripetibile. La pensava così Franco Basaglia, psichiatra italiano, noto per il suo ruolo fondamentale nella riforma del sistema psichiatrico italiano.
Fondato su principi di umanità, dignità e rispetto per i diritti delle persone malate, il bagaglio etico di Basaglia lo spinse a credere che ogni individuo, indipendentemente dalle proprie condizioni psicologiche, meritasse di essere trattato con compassione.
La cura vuole tenerezza e l’isolamento non paga, questo il suo grande insegnamento.
Chiunque, se allontanato dalla società, annega. Le “istituzioni totali” come i manicomi, ma anche le classi ghetto, i centri di detenzione per immigrati, le prigioni, generano individui arrabbiati. Perché chi è separato dalla società, privato della libertà, sottoposto a un controllo onnipervasivo, rischia di sentire la propria umanità venire meno. E quando non si ha più niente da perdere, non rimane più niente. E’ impotenza. E’ disperazione.
Basaglia incoraggiò la partecipazione attiva dei pazienti, promuovendone l’autodeterminazione, incentivando forme di democrazia dal basso, come le assemblee. Ai medici insegnò a sospendere il giudizio, a guardare con rispetto l’utente e quest’ultimo ritrovò la sua voce. Ai pazienti fu, soprattutto, restituita la dignità.
Avere un posto, fare sentire la propria voce, essere ascoltati, è terapeutico. Lo è sempre. Perché quando la relazione smette di essere strumento di potere e diviene luogo del riconoscimento reciproco, la vita fiorisce.
Se questo non accade, la vita si spegne. Lo vediamo negli ambienti di lavoro, quando i capi esercitano controllo e si aspettano che i sottoposti obbediscano senza riserve. Lo vediamo a scuola, quando l’insegnante impartisce conoscenza, senza tener conto delle esigenze individuali degli alunni. Lo vediamo nelle dinamiche familiari, quando i genitori decidono al posto dei figli, snobbandone le aspirazioni. Lo vediamo nelle interazioni sociali, quando i pregiudizi hanno la meglio, quando il sopruso muove logiche di potere, quando tutto gira attorno a questioni di status.
Abbiamo un “tarlo”, noi esseri umani, abbiamo bisogno di essere “visti”. Di essere rispettati, di essere valorizzati. Se i colori delle nostre storie uniche vengono cancellati dal principio di omologazione, la nostra unicità si sgretola e con essa la complessità che fa di noi ciò che siamo.
Basaglia ha ispirato una maggiore attenzione ai diritti umani nel campo della psichiatria e ha promosso la necessità di trattamenti basati sulla dignità e sul rispetto della persona, sebbene la completa realizzazione dei suoi ideali richieda ancora impegno e risorse. Con la legge 180 del 1978 viene sancita la chiusura dei manicomi in Italia; di fatto oggi noi abbiamo ancora un dovere a cui assolvere: abbattere lo stigma legato al disagio mentale.
Velo impietoso di pregiudizi e discriminazione, nebbia che avvolge le anime fragili, lo stigma porta a percepire come minacciose, inaffidabili, incapaci di tracciare il proprio cammino, persone alle prese con il disturbo mentale, istillando la convinzione errata che la sofferenza psichica possa essere dissipata con il mero sforzo della volontà. La vergogna per la propria condizione finisce per insinuarsi nelle pieghe più intime dell’essere, soffocando il grido di aiuto, isolando chi è già smarrito. Lo stigma trasforma la vita in una lotta silenziosa, dove la luce della comprensione e dell’empatia fatica a filtrare. Ma una società che non vede, che emargina, che snobba, è una società già morta. Prima o poi finisce per toccare a chiunque la propria dose di emarginazione: ci sarà sempre qualcosa al di fuori delle presunta normalità nel corso della vita.
Presso l’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini di Milano, dal 4 giugno al 4 luglio 2024, è in corso un bel festival organizzato da www.olida.org nel centenario della nascita di Basaglia con diversi incontri che affermano l’attualità del suo pensiero rivoluzionario.
Anche un festival può tessere una coscienza collettiva, unendo cuori e menti in un comune sentire. Serve consapevolezza per sgretolare il muro dello stigma. Superare i miti e i pregiudizi che ci imprigionano può voler dire ascoltare voci, storie, parole di chi ha guardato dentro al dolore. La partecipazione diventa potente strumento di trasformazione, capace di cambiare le percezioni e aprire nuovi orizzonti di empatia.