Metabolizzare un dolore o un lutto è una esigenza assolutamente umana. Nel recente passato, i genitori di figli morti in guerra o mai tornati dalla prigionia attutivano il dolore nel “lutto collettivo”, ovvero la consapevolezza che accanto a loro altri madri e padri avevano perso i figli nel conflitto. Era un mettere in comune le lacrime e i ricordi, sfogarsi e confortarsi a vicenda, sapere che nel grande dolore non si era soli. Aiutavano anche il riconoscimento pubblico, l’encomio delle ufficialità, le medaglie al valore, il nome sulla lapide del paese o della città. Tutte dimostrazioni tangibili che non avrebbero restituito il familiare, ma davano un senso, una consapevolezza, una sofferta accettazione della scomparsa e della memoria.
Oggi, siamo tutti più soli. E quando un grave lutto oppure un dispiacere sconvolgono la nostra esistenza, per taluni individui il dolore si consuma interiormente, logorando il fisico e la mente. Molto spesso anche la salute. Altri hanno il conforto di amici e parenti oltre alla Fede. Per altri ancora, la reazione di metabolizzare il dolore o il dramma subìto si esprime in modi completamente diversi. Ad esempio richiamando l’attenzione dei media per diffondere, mediante ogni piattaforma della comunicazione, raccomandazioni o accuse, contestazioni, proclami, sfoghi o i consueti “affinché non accada ad altri”. È il modo, per costoro, di attutire lo stress dovuto al trauma, alla perdita o all’allontanamento di quell’affetto che li ha feriti, fino ad arrivare ad un, forse non voluto, protagonismo inadeguato. E che può divenire anche stucchevole. È, probabilmente per costoro, l’unico modo per salvaguardare la propria psiche, per confermare a sé stessi di esistere e di essere compresi nel dolore; quel dolore che può essere più leggero rendendolo noto al mondo. Negli ultimi anni questo fenomeno accade con una certa frequenza e abbiamo recentemente assistito al dramma di due donne, una tragicamente uccisa dal fidanzato e l’altra arrestata in una nazione straniera, i cui familiari hanno manifestato questa sindrome da “trauma con enfasi da protagonismo mediatico”.