Al parco Sempione di Milano un bimbo di 8 o 10 anni sta pedalando sulla sua biciclettina. È dotato di casco, ginocchiere, gomitiere, insomma sembra un alieno da poco arrivato sul pianeta Terra. I genitori si preoccupano che una eventuale caduta gli possa procurare qualche sbucciatura e desiderano che non subisca traumi di nessun genere. Ciò contrariamente ad alcuni decenni or sono, quando una nostra caduta dalla bicicletta, o durante una corsa a piedi, lasciava sulla nudità degli arti qualche ferita sanguinante; esse erano sì un fastidioso inconveniente, ma anche l’occasione per dimostrare di come avremmo con stoicismo sopportato il bruciore dell’alcol che, senza troppi complimenti i genitori ci ponevano sulla ferita a mo’ di medicazione. Siamo partiti dalla iper protezione fisica, ormai adottata dalle famiglie e dalla collettività (fino alle ridicole pavimentazioni in gomma nei parchi giochi) per arrivare alla ossessiva tutela psicologica ed emotiva dei giovani nella società di oggi.
Tutto parte da un progetto di cura, benessere e protezione verso ogni e qualsiasi genere di trauma ormai da diversi decenni imposto da una certa mentalità nata dal crocevia tra consumismo, benessere, prole per lo più di figli unici e assistenzialismo fatto di mille curatele, che si proponeva di dissimulare o annullare le difficoltà, le piccole umiliazioni le privazioni (e persino le contaminazioni da “giochi in cortile”) per le nuove generazioni di ogni classe sociale. Insomma un concetto di egualitarismo-paracadute con grande disponibilità alla comprensione, al dialogo e alla indulgenza, su eventuali responsabilità o errori, anche gravi. commessi da parte dei giovanissimi.
Come sempre le strade dell’Inferno sono lastricate da buoni intendimenti. Ma sono pur sempre strade dell’Inferno. Infatti, questa salvifica iper assistenza verso i cuccioli di uomo, ha portato ad esaudire i loro capricci, a concedere ogni voglia, giustificare ogni mancanza, perdonare atteggiamenti aggressivi, tollerare ogni loro debolezza, e blandire i mezzi di correzione per non vederli piangere o tenere il broncio ai genitori. Genitori che, nel sempre più frequente caso di separazioni coniugali, spesso entrano fra loro in competizione per assicurarsi gli affetti (o forse gli opportunismi) da parte dei figlioli. La Scuola, da parte sua, ha da moltissimo tempo messo al bando le bacchettate sulle dita, le piccole umiliazioni del “dietro alla lavagna” o fuori dall’ aula, consentito il “tu” agli insegnanti, dimenticata la voce “respinto” sui tabelloni di scrutinio (se no, poverino, il cocco di mamma si sente umiliato), abolita la disciplina comportamentale ed edulcorato i giudizi sul profitto, che da traumatici voti numerici si sono trasformati in soffici eufemismi. Tutto, per i giovanissimi, deve ormai essere gioco, facilità di conseguimento, leggerezza, negazione della fatica, svago. Parole come impegno, dovere, sacrificio, sono state abolite da tempo. Oltre a ciò, negli anni si è sempre più consolidato il fenomeno del genitore-avvocato difensore, della serie “mio figlio è un genio incompreso”, “l’insegnante ce l’ha con mio figlio”, “vado a dirne quattro all’insegnante”. E sono quelli che accompagnerebbero il figlio a scuola anche durante il Liceo. L’ammettere che, talvolta, il proprio figlio è un asino o un intelligentissimo indolente, non è consentito dalla onorabilità di molte famiglie.
Conclusione: decennio dopo decennio, man mano che i validi e ben strutturati insegnanti se ne andavano in pensione, così come i genitori virtuosi passavano a miglior vita o divenivano inascoltati nonni, oggi ne godiamo (si fa per dire) i risultati con moltissimi casi di giovani strafottenti, spocchiosi, che mitragliano sentenze senza una capacità di ragionamento logico, che ritengono di poter attuare ogni e qualsiasi trasgressione o azione illecita solo perché essa risulta possibile. Ma siccome la vita è dura, per chi non ha gli anticorpi generati da una corretta e autorevole educazione, la tragedia è dietro l’angolo. E nei nostri anni sono troppi i giovani psichicamente fragili, incerti, incapaci di ammortizzare una sconfitta o una umiliazione facendone tesoro per la crescita, pronti ad assumersi una responsabilità o, ancora, disperati per un piccolo trauma subito. Spesso sono anche vittime di problemi caratteriali che portano dissesti o vandalismi nella comunità, offese o aggressioni verso adulti che fanno loro notare mancanze e scorrettezze. Perché purtroppo, il lato opposto della fragilità, della confusione e delle incertezze, è quello della violenza, della emulazione al rischio, fino a cercare conforto nella droga o, talvolta, al desiderio di farla finita con il suicidio.
Bene, possiamo gridare a tutto il mondo che il progetto pedagogico-educativo che si proponeva unicamente il dialogo senza punizioni o correttivi, e poc’anzi descritto, ha clamorosamente e totalmente fallito.
È di assoluta necessità il ritorno alla severità, ad una infanzia fatta di regole, di rispetto verso cose, persone e convenzioni sociali, di insegnamento a superare i piccoli problemi quotidiani, a sopportare giudizi e insuccessi senza accomodamenti buonisti. I migliori giovani che fecero il nostro Risorgimento furono allievi del Collegio Carlo Alberto di Moncalieri (TO), il cui motto era: “Regole ferree, vita dura, futuro grande”. Vogliamo finalmente provare?