A guardare il territorio di San Giuliano Milanese a volo d’uccello si rimarrebbe sorpresi da un agglomerato civile e industriale disseminato disordinatamente in un’ampia area verde agricola, solcata da corsi d’acqua e da rogge canali. Viottoli in terra battuta da una parte, dall’altra i palazzi e le abitazioni residenziali e l’apparato commerciale e produttivo segnato da capannoni che hanno fatto la fortuna e hanno costituito il vanto per chi ha trovato lavoro o ha investito risorse economiche e manageriali.
Ma allo stesso tempo hanno stravolto la concezione sedimentata di chi vi aveva abitato per secoli e secoli segnando il territorio di una presenza discreta e monumentale. Ne restano tracce nelle opere di fede, innanzitutto l’abbazia degli Umiliati di Viboldone e una serie di chiesette appendici rurali spirituali delle cascine, veri e propri nuclei agricoli produttivi e sociali. Il cinema ci aiuta a ricostruire la vita in campagna con tutte le sue gioie e le sue pene: L’albero degli zoccoli di Olmi per es., o Novecento Atto I e II di Bertolucci o Riso amaro di De Santis. Per fortuna non tutto è perduto, perché c’è chi pazientemente e amorevolmente ha raccolto gli attrezzi necessari a lavora- re la terra e ha illustrato in quadretti la vita nei campi. Ne esce una testimonianza veritiera di chi eravamo. Se a qualcuno interessa. Ma le tracce materiali vanno cercate sul territorio o su quello che resta dei percorsi su strade poderali in terra battuta per raggiungere i campi o delle opere idrauliche per convogliare l’acqua e distribuirla equamente sotto la supervisione del camparo oppure nelle attività molitorie del grano e degli altri cereali.
Infine nelle abitazioni rurali che sopravvivono, innanzitutto il borgo rurale di Viboldone, quello di Zivido, il complesso della Rocca Brivio, i borghi minori di Mezzano, Carpianello, assorbiti dall’espansione irresistibile delle case e dei capannoni. E poi nelle opere e i giorni non potevano mancare i luoghi della preghiera, della redenzione domenicale, del riposo del corpo e della mente, che restano incastonati fra le campagne a perdita d’occhio uniformi per le monoculture o i capannoni che non hanno incontrato ostacoli. Tutto questo permane sul territorio, compreso l’eco delle battaglie e dei fatti d’arme. Se è vero che l’Amministrazione Comunale è impegnata a promuovere il patrimonio culturale locale allora è necessario un programma di ripristino dei luoghi e della loro fruizione, attraverso un turismo diverso, non di rapina, ma di riconciliazione, dolce lo abbiamo chiamato.
Quindi innanzitutto occorre trovare un luogo per il Museo della Civiltà contadina raccolto da Luisa Carminati e farlo diventare un bene comune da privato che è, recuperare il borgo di Viboldone e i suoi annessi, le chiesette di Occhiò e della zona commerciale di Sesto Ulteriano e il Mulino Torretta, Mezzano, l’ossario, il convento dei francescani, quello della Vittoria se di convento di tratta o non piuttosto di mausoleo per onorare i soldati che hanno lasciato la vita sui “campi dei morti” per combattere nello scontro titanico fra la Francia e la Spagna di Carlo V. Suggestioni, direte voi. Certo, ma se vogliamo valorizzare il nostro territorio non dobbiamo permettere che nessun monumento scompaia dalla nostra vista perché il tempo e l’incuria degli umani ne hanno fatto scempio. C’è un problema di risorse, ma se ci sono le idee e ci si riconosce in un’unica visione allora con il tempo si potranno vedere rifiorire quelle strutture povere e umili ma potenti nella vita dei abitanti di questo contado che si sono susseguiti sul nostro territorio, considerandoci così degni e ammirevoli eredi.
*nella foto in evidenza: Mulino Torretta