Adesso tutti si chiedono se il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan of Action – PACG) avrà delle conseguenze letali per la pace, per la stabilità dei rapporti tra gli Stati della collettività internazionale. Dopo vari annunci spesso contrastanti il presidente Trump martedì 8 maggio ha preso la sua decisione e l’ha comunicata al mondo con la sua consueta visibilità mediatica.
D’altro canto non aveva mai nascosto di essere assolutamente convinto che l’abolizione delle sanzioni avesse rappresentato solo un danno per gli USA e solo un vantaggio per l’Iran. Nella nuova ottica americana, abolendo le sanzioni si è consentito agli Ayatollah di disporre di più risorse per finanziare i terroristi in Medio Oriente, in particolare il partito Hezbollah in Libano accusato di esportare terrorismo in tutti i paesi circostanti allo Stato dei cedri.
Il dado è tratto ed ora secondo i principali analisti internazionali si apre un periodo di grande incertezza sul fronte delle relazioni internazionali.
Un primo aspetto della nuova situazione, che suscita le maggiori preoccupazioni nell’immediato, riguarda le possibili conseguenze del ritiro americano sulla validità dell’accordo. Apparentemente nessuna diretta conseguenza perché anche senza gli Stati Uniti l’accordo rimane evidentemente valido. Gli Stati Uniti sono solo uno dei sette paesi firmatari, gli Stati Europei sono scettici e non si ritireranno e poi certamente la Russia e la Cina non seguiranno Trump nella sua decisione.
Il PACG, come noto, è stato firmato dai 5 membri del Consiglio di Sicurezza (USA, FR, CINA, RUSSIA, GB) oltre che dalla Germania e dall’Iran. Fino a quando l’Iran non si ritirerà o non violerà i termini dell’accordo esso resterà valido.
L’attenzione va ora posta sugli effetti delle rinnovate sanzioni americane che potrebbero indurre anche partner economici europei, le nostre imprese, a interrompere la collaborazione con l’Iran per non essere danneggiati dal diktat di The Donald.
Un secondo aspetto di fondamentale importanza riguarda le relazioni tra Iran e Israele dopo questo ritiro. Certo i due Paesi sono già al confronto diretto in Siria. Israele ha ripetutamente messo in guardia il regime di Teheran e di Damasco sul fatto che lo stato ebraico non accetterà mai la presenza di forze regolari iraniane sul territorio siriano. A conferma di ciò, più di una volta nelle scorse settimane l’aviazione israeliana ha condotto dei raid contro obiettivi in Siria dove si erano istallati consiglieri militari iraniani.
In definitiva il ritiro dall’accordo sul nucleare americano non cambia granché nell’immediato. Gli sviluppi futuri dipenderanno da quello che vorrà fare Teheran se si sentirà meno vincolata dalla fuoriuscita americana. Ora si resta in attesa delle mosse iraniane. L’Iran ha dichiarato che fino a quando ci sarà l’appoggio europeo, dell’accordo non cambierà nulla. Un pericoloso ingranaggio muoverebbe però verso il peggio se l’Iran, sentendosi più libero, dovesse riprendere il programma di arricchimento dell’uranio, come minacciano gli elementi più radicali del regime. Una tale evenienza porterebbe alla fine definitiva dell’accordo.
Il conseguente generalizzato ripristino delle sanzioni indurrebbe l’Iran a ripartire con i programmi militari nucleari ed in tale contesto Israele potrebbe nuovamente essere tentato da una opzione militare preventiva. Si tornerebbe quindi alla situazione ante trattato, indietro di tre anni, rendendo inutile il grande lavoro fatto all’epoca per la firma dell’accordo anche e soprattutto dell’Unione Europea.
Tornando alla Russia, come accennato Putin non ha nessuna intenzione di sfilarsi, l’Iran è un prezioso alleato ed i rapporti tra Israele ed il Cremlino restano pragmatici. Israele ovviante appoggia Trump e condanna la presenza iraniana in Siria. Ma questi vitali rapporti, seppure complessi vanno mantenuti collaborativi e corretti, ben regolati. Israele lo sa, perché non può sottovalutare che buona parte della popolazione israeliana è formata da ebrei provenienti dalla Russia.
Per il futuro? Si sta già lavorando. Lunedì prossimo ci sarà un incontro tra i ministri degli esteri di Iran, Francia, Germania e Gran Bretagna.
Tutti sono convinti di un fatto: la mossa di Trump non è stata tanto la conseguenza del recente “coup de theatre” di Netanyahu che ha accusato nei giorni scorsi l’Iran della violazione dell’accordo per non aver dichiarato l’esistenza di un precedente programma nucleare militare. Ha ottenuto il suo effetto mediatico con mega slide proiettate a tutte le televisioni del mondo ma ha presentato, come qualcuno ha osservato, solo una mezza verità e una mezza menzogna. Certo, perché l’Iran in passato aveva certamente avuto un programma nucleare militare ma l’aveva interrotto nel 2003 e tutti lo sapevano già. Non a caso la cosiddetta comunità internazionale ha reagito molto tiepidamente e con palese scetticismo a questo annuncio del premier israeliano.
In definitiva la mossa di Trump, molto impegnato a distruggere tutto quello che ha fatto Obama in precedenza, è stata piuttosto finalizzata a supportare Israele nella sua continua azione di marginalizzazione del regime di Teheran. Un Iran riabilitato agli occhi del mondo rappresenterebbe infatti un ostacolo per lo stato ebraico. La verità è che, come ha riportato lo stesso New York Times, “l’obiettivo di Netanyahu non sarebbe tanto quello di denunciare e provare il proseguimento del vecchio programma nucleare militare iraniano, quanto quello di mettere in discussione l’efficacia dell’accordo vigente, per ottenere nuove restrizioni e sanzioni che ridimensionino ulteriormente Teheran”. Trump lo sta facendo. Dai tempi del Presidente Reagan Tel Aviv non aveva più avuto uno sponsor così appassionato.