Leadership mondiale: la controversia tra Stati Uniti e Russia favorirà la Cina nella sfida per la supremazia planetaria?
Mi è capitato nei giorni scorsi, come docente a un seminario universitario di geopolitica, di esprimere un giudizio su un elaborato di uno studente. Scrivendo della Cina e della sua posizione strategica nella competizione per la leadership mondiale, egli individuava il Paese del dragone come unico vincitore della controversia tra Russia ed Ucraina e quindi in buona posizione nella sfida per la supremazia planetaria anche rispetto agli Stati Uniti.
“Tra i due litiganti il terzo gode” titolava considerando la Cina come la possibile vincente del conflitto, non certo dal punto di vista militare perché non coinvolta, ma in relazione alle sue conseguenze a livello economico internazionale.
Bene, questa visione rappresenta una delle ipotesi possibili anche se il vero risultato lo vedremo tra qualche tempo, quando le sanzioni contro la Russia, se mantenute, avranno sortito gli effetti auspicati e quando forse l’Occidente si sarà fatto carico di ricostruire l’Ucraina. Vedremo.
Il discorso però investe questioni di più ampio respiro.
La problematica va inquadrata nella crisi globale delle Relazioni Internazionali e degli Organismi che le gestiscono. Crisi che dopo vari decenni dalla fine della contrapposizione diretta tra i due blocchi USA- URSS, ancora non ha consentito alla Comunità Internazionale di esprimere una leadership mondiale universalmente riconosciuta, duratura e autorevole.
Leadership che non può riguardare, come alcuni sostenitori di utopie dichiarano, solo la principale istituzione internazionale, l’ONU. Per ovvi motivi una tale leadership attiene non ad una istituzione internazionale, per quanto prestigiosa, ma piuttosto ad una grande potenza o a più potenze di rilievo capaci di esprimere egemonia sul mondo.
Per capire i fatti recenti che hanno portato alla presente crisi delle relazioni internazionali dobbiamo però risalire almeno alla fine del secolo scorso.
Lo scienziato, politico americano, Francis Fukuyama, nel 1992 ha scritto e pubblicato un libro dal titolo “La fine della Storia”.
Nel testo Fukuyama sosteneva che la storia come era vista nel secolo scorso aveva concluso il suo ciclo con la fine della guerra fredda.
Era convinto che la guerra fredda avesse finalmente dato vita a livello mondiale ad un sistema di democrazia liberale e di economia di mercato tanto efficace quanto duraturo. Finalmente un bellissimo mondo di pace e prosperità!
Le argomentazioni di Fukuyama ebbero all’epoca un forte impatto mediatico perché rappresentavano un’allettante novità ma anche le speranze di un mondo felice di uscire dal timore di un olocausto nucleare.
Questo ovviamente non escludeva la possibilità di nuove guerre o di atti terroristici, a livello locale. Non sarebbe invece stato più possibile un conflitto generalizzato e nemmeno uno scontro fra ideologie proprie del liberalismo o dell’assolutismo dittatoriale.
E’ utile qui osservare che le sue valutazioni erano però in totale disaccordo con il pensiero di due sommi filosofi del ‘900, Hegel e Kant: Hegel sostenitore di una drastica ideologia secondo la quale le controversie tra gli stati sono insanabili e quindi componibili solo attraverso la guerra e Kant fautore dell’istituzione di organismi nazionali incaricati di risolvere i problemi.
Purtroppo quello di Fukuyama fu un sogno di poca durata perché sia gli organismi internazionali che le relazioni tra gli stati entrarono rapidamente in crisi.
Già dopo il 2000, questa dottrina delle relazioni internazionali multilaterali e collaborative fu progressivamente abbandonata, sulla scia delle scelte operate all’epoca dalla politica nazionale degli stati anglosassoni, Stati Uniti in testa.
Rientrati in una spirale di difesa dell’interesse nazionale e di abbandono di quello collettivo, gli americani non riconobbero più un ruolo valido per tutto il pianeta alle principali organizzazioni internazionali, ritenendole incapaci ma soprattutto inadeguate nella vigente forma alle esigenze geostrategiche del terzo millennio.
Devastante.
In particolar modo dopo gli attacchi al World Trade Center si affermò in America un crescente unilateralismo che mise in crisi gli organismi internazionali e che portò alla loro delegittimazione.
E qui un dubbio sorge spontaneo. Il dubbio che sorge oggi è che le grandi potenze non vogliano far funzionare queste istituzioni, per riservarsi il diritto di operare per i loro fini senza vincoli. Il sospetto, ma anche di più è oggi molto diffuso.
In Europa aveva preso piede il cosiddetto ordine liberale costruito nel secondo dopoguerra e basato sui valori ed i principi propri delle democrazie.
Questi principi erano i cardini di un nuovo ordine, mai visto in passato, dove la legge del più forte cede il passo alla forza della legge
Una regola che lo ha reso diverso dagli ordini mondiali che lo hanno preceduto perché prevedeva il rifiuto della guerra come unico mezzo efficace per conseguire i propri obiettivi politici e tollerava il ricorso alle armi come “extrema ratio”per la legittima difesa.
Questo ha riguardato ovviamente tutto il pianeta ma è soprattutto in Europa che sono state costruite e mantenute le condizioni politiche affinché la pace trovasse una compiuta attuazione tra le democrazie. E’ da questo che è nata l’Unione Europea.
In sintesi la trasparenza delle posizioni politiche conseguente alla democrazia consente alle società di rimanere aperte le une verso le altre e impedisce avventure di tipo offensivo. Bel mondo sarebbe se tutti lo condividessero con positivi intenti! Ma non è così.
I regimi autoritari come quello russo di Putin mal interpretano la trasparenza dei processi democratici e ritengono che le democrazie siano deboli e incapaci di difendere la propria libertà e di provvedere alla propria sicurezza.
E’ questo l’errore commesso da Putin, nelle valutazioni precedenti la sua aggressione all’Ucraina, verso l’Occidente nelle sue componenti europea e mondiale.
Le relazioni tra gli stati rimangono quindi sempre aggressive e fanno crescere le ambizione di conquista in modo esponenziale.
Guardate la Cina, fino a qualche anno fa assente negli equilibri mondiali ma solo potenza regionale chiusa nel suo territorio, oggi espande i confini dei suoi interessi in tutto il pianeta con pretese di potere egemonico in molti continenti.
E qui veniamo al confronto per l’egemonia mondiale.
Non vi sembra che quanto accennato fin qui stia avvenedo tra Cina, Stati Uniti e Russia?
La guerra in Ucraina segna oggi indubbiamente una una svolta nelle relazioni internazionali del nostro secolo. Una svolta della quale, al momento, non è possibile prevedere gli effetti politici più puntuali, che dipenderanno naturalmente dalla durata, dall’intensità e dall’esito del conflitto.
Il 24 febbraio 2022 segna però la fine di quell’era della convergenza e di collaborazione tra Occidente democratico e grandi potenze autoritarie che aveva preso avvio alla conclusione della guerra fredda.
Questa guerra in Europa fa ora saltare ogni possibile intesa sulle regole del gioco internazionale.
Nei prossimi anni vedremo ridefinirsi i rapporti politici ed economici globali tra potenze in un contesto istituzionale internazionale indebolito , la cui compattezza sarebbe invece necessaria per affrontare e magari vincere le sfide poste oggi all’umanità. Dalla gestione del clima al surriscaldamento del pianeta, alle pandemie, alle migrazioni, alla recessione economica e alle connesse crisi ricorrenti.
Lasciamo ora da parte la Cina in competizione e torniamo all’attualità chiedendoci se i due principali attori di questa crisi, quelli veri, cioè Mosca e Washington, siano due realtà che possano convivere.
Russia e Stati Uniti sono “incompatibili”! Lo afferma un analista politico e giornalista russo, indipendente, non di regime, Vitalij Tret’jakov: In un articolo su Limes, ci fa capire quale sia l’atteggiamento della Russia al riguardo ma ci fa comprendere anche quali siano le frustrazioni che la Russia soffre nei confronti degli Stati Uniti, forse da sempre ma verosimilmente almeno dall’implosione dell’URSS del 1991.
A premessa lui afferma che “gli Stati Uniti non rinunceranno mai al dominio globale né la Russia alla sua autonomia”. La sfida è destinata così a continuare. Potremmo chiudere qui!!
Ma approfondendo, come ha fatto il professor Aldo Ferrari dell’università Ca’ Foscari di Venezia nel suo recente libro “Storia della Crimea. Dall’antichità ad oggi” è escluso che la Russia cambi posizione riguardo alla crisi in atto e tanto più che rinunci alla Crimea, da sempre baluardo culturale e militare fondamentale nell’identità russa.
E il perché è semplice: se la Crimea dovesse alla fine tornare all’Ucraina vorrebbe dire che la Russia ha subito una sconfitta militare e politica devastante. Se la Crimea rimane invece alla Russia con parte del Donbass, sarà ugualmente una sconfitta per Putin ma non la catastrofe per la più grande potenza nucleare del mondo.
Una Russia che cedesse la Crimea sarebbe una Russia che non esiste più.
Concludendo, possiamo affermare che le relazioni tra gli stati e la geopolitica globale dovranno superare l’attuale stadio di concorrenza fra le superpotenze Usa, Cina e Russia. Il mondo ha bisogno di una leadership planetaria.
Previsioni a livello globale? Ognuna delle tre superpotenze citate, che seguono propri programmi di egemonia e di potenza tra loro incompatibili, si renderà conto di non poter individualmente prevalere.
Il mondo a comando unilaterale, con gli USA unica superpower come dopo la fine dell’URSS, non può più tornare.
Nessuna di esse sarà in grado di prevalere significativamente sulle altre. Ed allora la scelta obbligata sarà fra una collaborazione obtorto collo e forzata e un conflitto globale. Non emerge altra alternativa.
Vedremo.