Papa Francesco condanna duramente l’invasione dell’Ucraina definendola “sacrilega” e conia anche il neologismo “cainismo”, ma passa per una “porta molto stretta” non nominando mai l’aggressore. Secondo l’analisi geopolitica del Gen Bernardini il Vaticano, per vari motivi che va spiegare, non vuole rompere le sue relazioni con la Russia.
In questo periodo pasquale Francesco si è prodotto in una serie di interventi sulla guerra in Ucraina nei quali ha mantenuto costante e diritta la via comunicativa sulla quale si era da subito avviato.
In questa via è entrato, come ricorda “le Figaro” in un breve editoriale, da una “porta molto stretta”, dal difficile accesso.
Anche per le celebrazioni vaticane di quest’anno i riti cattolici pasquali hanno seguito il consueto canovaccio, ma chi si aspettava una differente valutazione sul conflitto è rimasto deluso.
Nella S.Messa solenne in piazza San Pietro, celebrata quest’anno in tempo di guerra, Papa Francesco non ha deviato dalla linea adottata dall’inizio dell’invasione denunciando con parole ferme, forti e determinate l’invasione, definendola “sacrilega” e portatrice di “barbarie”, ma senza citare l’artefice di tante nefandezze, l’aggressore: non lo nomina mai. L’invito ad astenersi dalla violenza viene rivolto a tutti e riguarda aggressori, aggrediti, supporter degli uni e degli altri. Ha detto a chiare lettere nel testo della benedizione papale ” smettiamola (tutti) di mostrare i muscoli mentre la gente soffre …”
Di più, per caratterizzare la situazione in cui l’umanità è ancora una volta precipitata, Francesco ricorre all’antico testamento, alle origini della specie umana e usa come un macigno gettato nel lago la narrazione del fratricidio di Caino (siamo tutti fratelli in Cristo), usando per l’aggressione (russa) dell’ucraina un termine nuovo: “cainismo”. Sottolinea che “…. stiamo dimostrando che in noi (nell’umanità) c’è ancora lo spirito di Caino che guarda al fratello Abele come a un nemico da annientare”.
Quali le reazioni alla linea scelta dal Papa? Come commentarla? Osserviamo che questa strategia raffinata e usuale nella diplomazia vaticana di sempre, produce però un effetto fuorviante perché non consente agli interlocutori di capire appieno la posizione del Papa, una posizione che per certi versi potrebbe ricordare quella di Pio XII nella seconda guerra mondiale, perché evita di mettere i belligeranti uno di fronte all’altro, evidenziandone chiaramente le rispettive gravi responsabilità. E questo non ha soddisfatto in particolare gli ucraini. Anche la “via crucis” del venerdì santo al Colosseo, focalizzata sulla partecipazione attiva di due donne, una russa, l’altra ucraina, ha suscitato contrarietà e qualche protesta a Kiev dove circa il dieci per cento dei cittadini si professa di culto greco cattolico e fa riferimento a Roma.
Ma tutto si spiega. Il Vaticano non vuole rompere le sue relazioni con la Russia, la guerra non è un evento definitivo che possa far cambiare la strategia di lungo periodo che ha sempre caratterizzato le relazioni internazionali della Santa Sede. I diplomatici con la veste talare vedono sempre più lontano degli altri. Si attende pazientemente il dopoguerra che prima o dopo arriverà.
Si procede “step by step” con discrezione, senza spettacolarità o inopportune esternazioni provocatorie, nella convinzione che presto saranno necessari dei mediatori. La guerra è un intervallo tra due periodi di pace, nell’ottica vaticana, mentre per tutto il mondo la pace è solo un intervallo tra due guerre. Il Vaticano è disponibile per questa funzione? Forse si.
Ma poi non va dimenticato che Francesco, come i suoi due predecessori, Wojtyla e Ratzinger, è convinto che non si possa rinunciare all’unità tra le Chiese cristiane d’Occidente e d’Oriente sulla quale tanto si è investito anche, ma non solo, per far fronte alla supremazia numerica dell’Islam.
Per questi motivi l’ingresso di Francesco su questa strada avviene per una “porta stretta”, perché è un percorso difficile da individuare, da intraprendere ma che non può essere evitato.