Presentato il 1° Aprile allo Spazio Cultura di San Giuliano Milanese a cura dell’Associazione Liberi Pensieri in collaborazione con il Liceo Primo Levi
“Per non dimenticare, pur in una situazione drammatica di guerra agita e combattuta in Ucraina, la condizione delle donne in Afghanistan, retrocesse sul piano sociale dalla presa del potere nell’agosto scorso da parte dei talebani”. Questa la premessa che introduce l’iniziativa culturale e allo stesso tempo umanitaria e solidale nei confronti delle donne afghane che vivono “sotto un cielo di stoffa”, il burca appunto.
Vincenza Spatola, professoressa d’arte al Liceo Primo Levi, ricorda la collaborazione con l’Associazione Liberi Pensieri nella conferenza organizzata qualche tempo fa con la partecipazione di una attivista di Kabul per i diritti umani e delle donne. Era venuta in Italia per esporre in quali condizioni si trovassero le donne afghane, alla mercé di una società maschilista che le esclude dai diritti, dal lavoro e le sottopone anche a vessazioni nell’ambito famigliare, ma soprattutto le priva dell’istruzione. Piera Putzulu di Liberi pensieri ha ripercorso l’impegno decennale dell’associazione a favore di un paese lontano, eppure vicino, con le adozioni a distanza e con l’invito a ragazzi e ragazze di staccarsi dal loro mondo e visitare il nostro paese, più tranquillo e così allargare la visuale sul mondo, respirare un’aria diversa. Qui, dove nel corso degli anni la situazione delle donne nella società è cambiata sensibilmente, anche se ancora non del tutto in maniera soddisfacente. Cristiana Cella, giornalista, scrittrice e sceneggiatrice, ha raccontato le sue vicissitudini che l’hanno portata in Afghanistan fin dagli anni ’80, al tempo della conquista del paese da parte dei russi e di come abbia partecipato alla lotta clandestina di liberazione sotto il burca, un indumento odioso, che ricopre tutto il corpo come in una prigione, che non consente di vedere neppure i propri piedi.
Ma a volte questo travestimento ha consentito di nascondere l’identità e ha favorito lo scambio di messaggi e il trasferimento da un luogo all’altro, rimanendo incognite. “Qual è la condizione ora del paese?” si domanda ora l’autrice. Il suo rapporto si è mantenuto costante e anzi si è rinsaldato grazie all’opera continua e solidale del CISDA Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane). Il paese è ricaduto nell’abisso e nel buio più totale sul piano economico e su quello dei diritti. A farne le spese le donne, costrette in famiglia a giocare un ruolo del tutto subalterno, promesse e sposate anzitempo e senza neppure essere coinvolte nella scelta e soprattutto estromesse dal lavoro a cui avevano avuto accesso durante i vent’anni di presenza armata occidentale. Ma soprattutto dall’istruzione. Le scuole restano chiuse per le donne che vengono private della conoscenza e della possibilità di riscatto. Ma le donne non sono rimaste con le mani in mano, hanno organizzato numerose forme di protesta e soprattutto la loro difesa legale ad opera di giovani avvocate che cercano di tutelarle sul piano giuridico e in qualche modo a svincolarsi dal controllo totale dei maschi sulla loro vita. La situazione è veramente molto grave e drammatica, confessa Cristiana Cella. Allora cosa occorre fare, in cosa possiamo sperare? si chiede. Nella solidarietà internazionale è la sua risposta e nel sostenere progetti umanitari e culturali, allevando e facendo crescere una nuova classe dirigente democratica che dia speranze di salvazione a questo paese martoriato dalla guerra e dalle lotte fra i vari clan. Altrimenti il rischio, da evitare, sarà la balcanizzazione. Nonostante tutto, la speranza di migliorare sorregge questo lavoro dell’autrice che spera nelle nuove leve, queste avvocatesse giovani e belle che mettono a repentaglio la loro vita per far progredire la società afghana.
*Nella foto in evidenza: Vincenza Spatola, Piera Putzulu e Cristiana Cella