The Post, l’ultima fatica di quel genio di Steven Spielberg, racconta nei dettagli la storia di come il Washington Post pubblica nel 1971 i Pentagon Papers, uno studio top-secret di 7mila pagine commissionato per volere di Robert McNamara nel 1967, segretario alla Difesa sotto le amministrazioni Kennedy e Johnson. Un rapporto approfondito per comprendere la strategia e i rapporti del governo USA con il Vietnam nel periodo compreso tra il 1945 e il 1967.
Dall’ottobre del 1969, Ellsberg Daniel Ellsberg, che lavora alla RAND Corporation, una società specializzata in analisi delle politiche pubbliche, assieme al ricercatore Antony Russo cominciano a fotocopiare i documenti segreti con l’intenzione di diffonderli per rivelare le menzogne di quattro presidenti sulla guerra del Vietnam, in cui continuano da anni a essere coinvolte decine di migliaia di ignari giovani americani. Nel febbraio 1971 Ellsberg decide di consegnare i documenti a Neil Sheehan del New York Times: la pubblicazione inizia nel giugno dello stesso anno, per un totale di 134 documenti.
Il quotidiano più importante degli Stati Uniti viene però bloccato da un’ingiunzione del tribunale. In questo contesto si inserisce il Washington Post, che grazia all’audacia e all’etica granitica del suo direttore Ben Bradlee (interpretato da un Tom Hanks in grande forma) e della sua proprietaria Katharine Graham (una sublime Meryl Streep), pubblica i Pentagon Papers in nome della libertà di stampa, diventando da un giorno all’altro il quotidiano più influente della nazione, tanto da far tremare la Casa Bianca e il suo “oscuro” inquilino Richard Nixon. Il successo viene confermato dalla ripresa di tutti gli altri giornali americani di quanto pubblicato dal Post.
The Post non è solo un film storico ben riuscito, ma è anche un film attuale in quanto riporta al centro dell’attenzione il ruolo fondamentale del giornalismo: quello di fare inchieste per controllare l’operato dei governanti per conto dei cittadini, in nome della salvaguardia della democrazia. Come viene ben rappresentato nel lungometraggio, è fondamentale il minuzioso lavoro dei giornalisti, che mediano tra la fonte e il pubblico riuscendo a restituire la verità, seppur frammentata, su un fatto in modo che possa trasformarsi poi in Storia.
La vittoria finale della vicenda dei Pentagon Papers dimostra la forza del giornalismo di non piegarsi mai davanti al potere per salvaguardare i principi basilari di una democrazia.
In secondo piano, l’altro grande tema portante della pellicola, è quello del ruolo della donna in una società maschilista. La Graham è una donna che si ritrova a guidare da sola il quotidiano della capitale in mezzo a intrighi politici e a squali del mondo finanziario. A corto di capitali, la Graham decide di entrare in borsa per garantire le risorse necessarie per il futuro della società e rischia tutto nel momento in cui appoggia la decisione del suo direttore di pubblicare i Pentagon Papers.
Un’azione questa che porterà a minare per sempre la leadership del vendicativo Richard Nixon: da lì a poco infatti, come conseguenza delle rivelazioni sulla guerra in Vietnam, si verificherà lo scandalo del Watergate.
Il film di Spielberg ha il pregio di portare sul grande schermo questa storia senza mai annoiare lo spettatore, grazie a un ritmo che si mantiene alto per tutta la durata del film e alla brillante sceneggiatura a prova di orologeria, frutto delle menti di Liz Hannah e Josh Singer.
The Post è quindi un’opera quasi perfetta, che si regge sulla bravura del regista, degli sceneggiatori e dei due attori protagonisti. Un film che andrebbe inserito come materiale didattico in qualsiasi scuola superiore o corso di giornalismo: il suo messaggio sull’importanza della libertà di stampa e del ruolo fondamentale dei media come “cani da guardia” dei governanti viene espresso in maniera efficace ed emozionante.