Trasposizione di un romanzo storico ambientato alla fine del Settecento, la pellicola del grande regista statunitense celebra il sublime della natura e del cinema.
Nel 1975 uscì al cinema “Barry Lyndon” di Stanley Kubrick, ormai all’apice della carriera dopo i successi di “2001: Odissea nello spazio” e “Arancia meccanica”.
Il regista statunitense, nato a New York il 26 luglio 1928, si cimentò a metà degli anni Settanta nella realizzazione di un film in costume tratto dal romanzo “Le memorie di Barry Lyndon” di William Makepeace Thackeray, riciclando una sua ricerca per la realizzazione di un lungometraggio epico su Napoleone Bonaparte. Un progetto che era stato rifiutato sia dalla Metro-Goldwyn-Mayer che dalla Warner Bros a causa di un budget preventivo astronomico.
La trasposizione cinematografica di Kubrick, costata sei volte di più del previsto, narra le gesta di un avventuriero irlandese di nome Redmond Barry, interpretato magistralmente nel film da Ryan O’Neal, durante la fine del Settecento. Figlio di una famiglia borghese impoverita, il protagonista lascia il suo paese dopo un duello con un capitano inglese che vuole sposare una sua cugina più grande di cui Barry è innamorato. Pensando di averlo ucciso, Barry fugge via e, durante la guerra dei Sette anni, combatte prima dalla parte degli inglesi e poi da quella dei prussiani. La svolta arriva quando entra al servizio del cavaliere di Balibari, giocatore d’azzardo e baro. Conosce così la silenziosa Lady Lyndon, che da lì a poco sposerà alla morte del marito anziano e malato, ascendendo alla classe aristocratica britannica. Barry si mostrerà però indifferente nei confronti della moglie e del figlioccio Bullingdon, che è il vero Lord Lyndon e che vivrà per vendicarsi. Dopo la morte del figlio naturale, Barry inizia a essere depresso e la sua storia si concluderà com’era iniziata: con un duello, questa volta contro il figlioccio Bullingdon, che gli porterà via non solo una gamba, ma anche lo status sociale “rubato” grazie a un astuto matrimonio.
Kubrick impiegò trecento giorni di riprese per realizzare questo film. Il risultato fu deludente al botteghino, ma sorprendente sul piano cinematografico ed estetico. Ogni scena è una sorta di dipinto e in effetti il cineasta aveva raccolto in quel periodo un archivio di migliaia di riproduzioni di quadri ritagliati dai libri, come riferimenti da dare ai suoi collaboratori per la realizzazione del lungometraggio. Il regista e il direttore della fotografia John Alcott si ispirarono alle pitture paesaggistiche e alle stampe del Settecento, utilizzando per l’illuminazione luci naturali per le riprese in esterno, candele o lampade a olio per le scene d’interni.
Come negli altri film di Kubrick, anche in quest’opera una grande importanza viene riservata alla colonna sonora, trainata da un arrangiamento di Leonard Rosenman della suite nr. 4 in re minore HWV 437, per clavicembalo, composta da Georg Friedrich Händel.
L’armonia tra la perfezione delle immagini, i costumi d’epoca e la colonna sonora rendono “Barry Lyndon” un film sublime sul piano estetico. In molte scene del film la regia mette infatti in risalto la bellezza paesaggistica delle campagne irlandesi e inglesi, a scapito delle azioni dei personaggi, riprese da lontano. Ne è un esempio la scena di apertura in cui i due duellanti sembrano insignificanti rispetto al sublime della natura e, grazie all’ironia della voce fuori campo, la sequenza da drammatica assume dei connotati comici.
La voce narrante che irrompe subito fin dall’inizio è un’altra peculiarità di questo film. Scandisce con precisione le varie peripezie del protagonista, deridendolo, giudicandolo o rincuorandolo a seconda della scena. Una voce fuori campo che funge quasi da didascalia o commento esterno alle sequenze – quadri realizzate da Kubrick.
Il regista aggiunge alla fine del film un terzo duello, mancante nel romanzo di Thackeray, che simmetricamente chiude la storia: la resa dei conti tra Barry e il suo figlioccio, trasformato da Kubrick nella nemesi e giustiziere del protagonista. Bullingdon, a cui spetta fare fuoco per primo con la pistola, spara a vuoto e Barry volutamente lo risparmia. Al secondo round però Bullingdon colpisce il suo patrigno a una gamba, che verrà da lì a poco amputata. Due azioni che nascondono in realtà una scelta morale da parte dei personaggi: l’azione eroica di Barry di risparmiare la vita del ragazzo e l’azione vendicatrice di Bullngdon di mutilare, a nome della classe aristocratica, un parvenu indesiderato capace solo di dilapidare un patrimonio di famiglia. Una scena molto lunga e lenta, al limite dello snervante, ma in cui risiede la “morale” della storia.
“Barry Lyndon” è uno degli esempi meglio riusciti del credo “al servizio del testo” del regista, che scrisse: “Quando il regista non è l’autore dell’opera, penso che sia suo dovere rimanere fedele al cento per cento al significato espresso dall’autore stesso, senza sacrificarne alcunché in nome di un momento cruciale o di effetti speciali” (cit. Stanely Kubrick in Sight & Sound, n. 30, 1960-1961).
L’impressionante valore estetico di “Barry Lyndon”, che lo rende uno dei film in costume più importanti della storia del cinema, fu premiato con ben quattro premi Oscar: miglior fotografia, miglior scenografia, migliori costumi e miglior colonna sonora.